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Alzheimer, sempre più vicini a un vaccino: test su uomo fra 2-3 anni

Il farmaco colpirà le proteine che "bloccano" i neuroni. Entro il 2018 dovrebbero partire i primi test sull'uomo

Lo sviluppo di un vaccino contro l'Alzheimer potrebbe essere questione di due o tre anni. E' quanto emerge da uno studio della Flinders University di Adelaide, in Australia, pubblicato sulla rivista Nature. Il rimedio sarà in grado di contrastare la demenza nei suoi stadi iniziali andando a colpire le proteine beta amiloidi degradate che "bloccano" e danneggiano i neuroni. Entro il 2018 dovrebbero essere inaugurati i primi test sull'uomo.

La formula del vaccino è stata realizzata in collaborazione con l'Institute of Molecular Medicine e dell'University of California. Nel mondo sono circa 25 milioni le persone che devono convivere con il morbo di Alzheimer e "i farmaci sviluppati finora non sono abbastanza forti, inducono i giusti anticorpi ma a livelli troppo bassi", ha spiegato Nikolai Petrovsky, leader del team di ricerca.

Come funziona il vaccino - Secondo gli scienziati, il vaccino consentirà al sistema immunitario di rilasciare anticorpi in grado di legarsi alle proteine "cattive", per poi "trascinarle" lontano dal cervello. Un meccanismo che però si rivela efficace solo negli stadi iniziali della malattia, "in un momento in cui è ancora possibile invertirne lo sviluppo". Il farmaco potrà essere somministrato "a tutte i pazienti che hanno superato i 50 anni, in modo da immunizzarli prima che insorga la malattia", ha sottolineato Petrovsky.

Individuare il rischio già a 18 anni - Un altro studio condotto dal Massachusetts General Hospital di Charlestown, negli Stati Uniti, consente invece di individuare il rischio genetico di ammalarsi di Alzheimer in persone giovani e sane già dall'età di 18 anni, molto prima della comparsa dei sintomi. Secondo i ricercatori, a ogni aumento del punteggio di rischio genetico era associato un aumento del rischio di progressione della malattia, ma anche un ippocampo più piccolo. E' stato inoltre esaminato il rapporto tra il punteggio di rischio poligenico e il volume dell'ippocampo di 1.322 partecipanti di età compresa tra 18 e 35 anni. "L'obiettivo della ricerca è aiutare i medici a identificare meglio le persone a rischio in modo che i futuri trattamenti preventivi possano essere adottati il prima possibile", hanno spiegato gli scienziati.

"Gene della demenza" può colpire già dall'infanzia - Un particolare "gene della demenza", associato alla malattia di Alzheimer, può influenzare il cervello e le abilità cognitive dei bimbi nell'infanzia, già a partire dai tre anni. E' quanto emerge da una ricerca dell'Università delle Hawaii, pubblicata su Neurology, i cui risultati secondo gli studiosi sono importanti perché potrebbero portare a identificare molto precocemente chi è a rischio di sviluppare la malattia. I piccoli che ereditano il gene hanno un ippocampo più piccolo del 5% e totalizzano la metà dei punteggi rispetto ai coetanei nei test sulle abilità cognitive.

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