Dopo Colombia, Ecuador e Perù, affrontiamo una delle tappe più difficili: la Bolivia. A ostacolarci ci sono numerosi fattori. Anche se siamo in piena estate australe fa freddo, piove a dirotto e vivere a 4000 metri è molto, molto faticoso.
A questi aspetti, si aggiungono le difficoltà tipiche dei paesi poverissimi: strade dissestate, sistemazioni “poco confortevoli”, furti... Anche fare benzina è piuttosto complicato. Il prezzo sarebbe teoricamente bassissimo, ma i veicoli stranieri possono fare il pieno solo in determinati distributori che applicano un sovrapprezzo molto salato. Dopo aver costeggiato il lago Titicaca arriviamo alla frontiera Boliviana di Desaguadero. Le pratiche sono confuse e discrezionali ma, con qualche difficoltà, ce la caviamo in meno di due ore. Scopriamo che la Bolivia è l'unico paese che non richiede la stipula dell'assicurazione: speriamo che non ci serva...
Da Desaguadero la strada prosegue in una pianura desolata fino a El Alto. A quel punto si apre una colossale crepa nel terreno e sotto di noi, soffocata da un traffico convulso, appare La Paz. Rotoliamo giù per una serie infinita di ripidi tornanti ed entriamo in città. La via principale la attraversa nel punto più basso e intorno a noi, lungo le pareti del canyon, risalgono i quartieri residenziali. Sopra tutto questo, vediamo penzolare le cabine del “teleferico”, il mezzo di trasporto più efficiente. Visitiamo la città a piedi, ma la fatica è davvero tanta. Bastano pochi metri in salita per tagliarci completamente il fiato. Perfino dormire è difficile: ci si sveglia costantemente con la sensazione di soffocare... Tentiamo di acclimatarci per qualche giorno con l'aiuto di qualche integratore e foglie di coca, senza nessun particolare beneficio. Da La Paz ci muoviamo verso Cairoma, sede del progetto finanziato dalla Fabbrica del Sorriso. Teoricamente si trova a circa 150 km da La Paz ma, a causa di un ponte crollato molti anni fa, è necessario un percorso molto più lungo che richiede, secondo le condizioni del tempo, da 7 a 10 ore, in gran parte su sterrati di alta quota. Rifletto a lungo sul da farsi (piove sempre) e, con molto fastidio, concludo che è meglio non correre rischi e approfittare del pickup dell'ONG.
Facciamo scorta di viveri, un paio di chili di foglie di coca a scopo “sociale” e alcuni bastocini di cenere (utile come catalizzatore per la coca) e partiamo in una splendida mattina: la prima giornata di bel tempo dopo più di un mese. Il percorso, bellissimo, richiede circa 8 ore. Il progetto, affidato a ACCRA ha portato acqua potabile e per l'irrigazione a una quindicina di comunità Aymara. Il lavoro è durato anni ed è stato condotto con rara attenzione. Tutto funziona senza l'utilizzo di macchine e senza l'uso di materiali non reperibili sul posto, salvo 3000 rubinetti, 300 aspersori per irrigazione e molti metri di tubi. Ovviamente questa scelta ha notevolmente complicato il lavoro di progettazione. La comunità locale ci ha messo il lavoro (durissimo) per realizzarla. Sappiamo però di trovarci di fronte ad un grosso punto interrogativo: il progetto è chiuso da anni. In che condizioni lo troveremo? Beh, è inutile girarci attorno. Funziona tutto perfettamente. Le riunioni con le comunità native (molto formali) sono sempre precedute dalla distribuzione della coca e della cenere, qualche minuto di silenzio in cui tutti puliscono attentamente le foglie prima di cominciare a masticarle, e terminano con il tradizionale “aptapi” (una specie di picnic comunitario).
Fra la distribuzione della coca e l'aptapi, veniamoo invitati a visitare l'impianto, informati sui risultati ottenuti (riduzione verticale delle affezioni come dissenteria e tifo e aumento della produzione agricola) e sui modi in cui la situazione potrebbe ancora migliorare: qualcuno suggerisce l'apertura di un nuovo canale o la disponibilità di altri aspersori. Altri pensano di comprare un camion per portare la patate direttamente a La Paz o addirittura di utilizzare l'acqua in eccesso per allevare trote. A parte il freddo indescrivibile e la fatica di acclimatarci ai 4500 metri di Cairoma, è una bellissima esperienza. Il viaggio di ritorno mi toglie ogni dubbio sulla validità della scelta di non essere venuto qui in moto: nevica “ a dirotto”. Anche con un 4x4 il viaggio di ritorno dura 12 ore... E il resto della Bolivia? La zona Amazzonica è fuori rotta: il nostro obiettivo è il Salar de Ujuni, lungo la vecchia strada dell'argento che attraverso le montagne porta a Potosì e poi verso l'Argentina. Lo raggiungeremo solo qualche mese dopo, risalendo, appunto, dall'Argentina.
La strada che percorriamo è una delle più spettacolari di tutto il viaggio. Si snoda fra coloratissime “quebradas” e permette di raggiungere il Cile attraverso il deserto di Atacama o, come preferiamo noi, raggiungere Potosì. Una bella città coloniale, afflitta dal solito traffico e da stop piazzati lungo ripidissime salite. Alla periferia, c'è una colossale miniera d'argento a cielo aperto, che ricorda molto da vicino un girone infernale. Da Potosì ci sono due possibilità per raggiungere Uyuni. Una “scorciatoia” adatta solo ai più preparati “rough riders” che richiede circa una giornata di viaggio, oppure un giro molto più lungo che però si esaurisce in meno di tre ore. Uyuni è quanto di più vicino ad una “città perduta”. Case basse e polverose distribuite lungo le inevitabili “quadras”. A est si stende la famosa ferrovia che trasporta il minerale estratto (in gran parte litio) estratto dal salar. Da Uyuni il salar non si vede ma si indovina. Per raggiungerlo bisogna percorrere altri 40 km di pista sabbiosa, resa quasi impercorribile dalla gran quantità di grossi fuoristrada che portano i gitanti. Comunque raggiungerlo e metterci le ruote sopra vale qualunque sforzo. Inutile cercare di descriverlo. Meglio una fotografia.