Dopo il referendum sulla Ue

L’Arcidiacona anglicana d'Italia: la Brexit non fermerà il dialogo

L’Arcivescovo di Canterbury ha votato per l’Unione, ma molti fedeli non l’hanno seguito. Un fallimento per la Chiesa Anglicana?

di Chiara Beria

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Dopo lo shock seguito al referendum sulla Brexit, i rappresentanti delle confessioni cristiane si mobilitano per rilanciare la cooperazione in Europa. Tra loro anche l’Arcidiacona d’Italia Vickie Sims, che ha ribadito in un’intervista al Tgcom24 l’impegno ecumenico della Chiesa Anglicana.

“La sottile crosta di tolleranza della nostra società si è incrinata – ha detto l’Arcivescovo di Canterbury Justin Welby nel suo intervento del 5 luglio alla Camera dei Lords – non ricordo un simile clima di odio in Gran Bretagna”.
 
Era il 1534 quando la Chiesa d’Inghilterra dichiarò l’indipendenza dal papato romano. Un gesto che mise fine, sul piano politico e culturale, all’unità dei cristiani europei. Oggi, dopo secoli di lotta al dominio transnazionale della Chiesa, i riformati si scoprono europeisti. E mentre l’Occidente secolarizzato è scosso da nuove ondate di nazionalismo, sono gli ex campioni della “diversità nordeuropea” i primi a tendere la mano ai fratelli separati.
 
La Brexit potrebbe segnare un’inversione di tendenza? Lo abbiamo chiesto a Vickie Sims, Arcidiacona d’Italia per la chiesa Anglicana.
 
A pochi giorni dal referendum, l’Arcivescovo di Canterbury Justin Welby ha appoggiato pubblicamente le ragioni del Remain. Perché i fedeli hanno disobbedito al Primate anglicano?
 
In Italia c’è difficoltà a capire il ruolo e le funzioni della Chiesa d’Inghilterra. L’Arcivescovo è un’autorità spirituale, ma le sue parole non sono vincolanti come quelle del Papa romano. I fedeli non hanno l’obbligo di fare quello che dice, soprattutto quando si tratta – come in questo caso – di una sua opinione personale. Forse un nesso c’è, ma la religione non c’entra nulla. La Brexit è una svolta anti-istituzionale e la Chiesa Anglicana, come tutte le istituzioni, è diventata il bersaglio della rabbia e dell’insoddisfazione del popolo.
 
Gli anziani, mediamente più fedeli alle tradizioni, hanno votato per la Brexit. C’è un nesso tra antieuropeismo e appartenenza religiosa?
 
No, la fede non c’entra nulla. E non è nemmeno vero che tutti gli anziani vanno in Chiesa. Le diversità territoriali pesano più delle opinioni religiose. La popolazione rurale e meno istruita ha votato per il Leave, gli abitanti delle grandi città del sud per il Remain.
 
L’anglicanesimo è ancora una parte importante dell’identità britannica?
 
Sì, ma non per tutta la popolazione. Ormai il Regno Unito è un Paese multiculturale. Certamente vi sono, nel Cristianesimo, alcune identità fortemente radicate. Ma la Chiesa anglicana è quella che si è aperta di più al mainstream internazionale.
 
L'uscita di Londra dall'Unione Europea influenzerà il dialogo tra le confessioni cristiane?
 
Certamente no. La Chiesa Anglicana ha iniziato a investire nel dialogo ecumenico più di un secolo fa, dunque ben prima della fondazione dell’Unione.
 
Quale sarà il ruolo delle chiese in Europa?
 
Promuovere i valori comuni a tutte le religioni. Ognuno di noi parte da una ricerca, da un bisogno di spiritualità prima ancora che di fede. Le Chiese devono ascoltare questi bisogni senza pretendere il monopolio sulle coscienze dei fedeli.