Il tanto annunciato giro di vite contro il narcotraffico, ad opera del neo-presidente filippino Rodrigo Duterte, è diventato realtà. Da quando il premier è entrato in carica (30 giugno), trenta spacciatori sono stati freddati dalla polizia e sono stati sequestrati narcotici per un valore di 18 milioni di euro. Nella sola giornata del 3 luglio, cinque venditori di droga sono stati uccisi in una sparatoria vicino al palazzo presidenziale.
Sin dall'inizio della campagna elettorale, Rodrigo Duterte è stato fortemente criticato per i toni duri e le sue provocazioni: aveva infatti promesso una sorta di "mattanza" di spacciatori, al fine di limitare lo sviluppo del narcotraffico nelle Filippine. Dal 9 maggio scorso, data in cui Duterte è stato eletto, sono morte più di cento persone per mano della polizia: tra esse presunti stupratori, ladri e acquirenti di droga. Non sono mancate le polemiche: vi è chi parla di "esecuzioni sommarie" di persone solamente sospettate di aver commesso un reato, e dunque senza una reale prova della loro colpevolezza.
Duterte ha anche definito cinque poliziotti di alto rango - alcuni attivi, alcuni già in pensione - come "protettori" dei cartelli della droga, e ne ha sollevati altri dal loro incarico: l'obiettivo è evitare qualsiasi coinvolgimento in questioni di spaccio da parte delle forze dell'ordine, caratterizzate dalla presenza di molti uomini corrotti. Il neo-presidente ha infatti promesso di liberare il Paese dagli stupefacenti e dalla criminalità in soli sei mesi, e ha promesso che tale lotta sarà "sporca" e "sanguinosa".