Da almeno cinquant'anni Emilio Isgrò sembra ubbidire a un imperativo categorico: cancellare! Fiumi di parole sono finite sepolte sotto rivoli di materia nera, bianca o rossa. Tomi interi, dall'Enciclopedia britannica ai Promessi sposi, dalle carte geografiche al monumentale Ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori, sono stati pazientemente e sistematicamente anneriti o sbiancati salvando solo qualche vocabolo che, letto in sequenza, condensa il pensiero in modo altrettanto lapidario. E Milano gli rende omaggio in tre diverse sedi.
Altre volte, invece, brevi frammenti di testi poetici affiorano da strati di materia che paiono millenari e le cui pagine sono ormai colonizzate da sciami di api o da colonie di operose formiche. Qualche esempio? La pagina dell’Innominato manzoniano: tutto il foglio è un’interminabile fila di bitorzoluti “vermicelli neri” che in modo ordinato presentano "un mare di cancellature, il cui peso [è] più forte delle parole". Solo due piccoli vocaboli, "Dio" e "Io", sono sopravvissuti alla furia dell’inchiostro, in un perfetto ed estremo sunto del personaggio e del racconto.
Oppure le pagine della Genesi, sui cui bianchi righi solerti api operaie nidificano o raccolgono metaforicamente cibo per la loro regina. Isgrò parla per la prima volta dell’operazione del cancellare nel catalogo che accompagna una delle sue iniziali mostre, Il Cristo cancellatore (1968), e scrive: "Ma le cancellature hanno altre funzioni: servono certo a provocare un'assenza e a mettere in moto i meccanismi cerebrali del fruitore, che vorrà sempre sapere 'cosa c'è sotto'. Ma allo stesso tempo (e questa funzione è molto più importante) sono un preciso, inequivocabile segno linguistico. Non tanto un vuoto da riempire, dunque; quanto una presenza, un pieno compatto, che sollecita e contemporaneamente rifiuta ogni proiezione da parte del lettore".
Dietro a quel semplice gesto, l’artista legge dunque il destino di un tempo, un nuovo senso dello spazio e della forma, il mistero e la forza di una verità capace di sorprendere e di far riflettere, una dimensione filosofica che, strato dopo strato, raggiunge nuove profondità semantiche e alchemiche.
Al lavoro di Isgrò rende omaggio la città di Milano (che dal 1956 lo ha adottato) in tre diverse sedi: oltre 200 opere sono a Palazzo Reale; il celebre ritratto di Alessandro Manzoni dipinto da Hayez e cancellato da Isgrò è nel caveau delle Gallerie d’Italia, mentre I promessi sposi cancellati per venticinque lettori e dieci appestati sono visibili alla Casa del Manzoni. Inoltre, per l’occasione, la monumentale scultura pensata per l’Expo 2015 e intitolata Seme dell’Altissimo sarà definitivamente collocata nel Parco Sempione, proprio dove nel 1906 si svolse la prima Esposizione Universale milanese.
Emilio Isgrò
Milano: Palazzo Reale, Gallerie d’Italia, Casa del Manzoni
29 giugno - 25 settembre 2016