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Fabbrica del Sorriso in America Latina: il Perù

Anna e Fabio ci fanno da guida da Lima a Cuzco, fra turismo e povertà

Eccoci alle porte della terza nazione sul nostro percorso: il Perù. Scendiamo dalle montagne dell’Ecuador ed entriamo nel deserto. Una lunghissima fascia costiera, di larghezza variabile, che scende verso sud per migliaia di chilometri.

Dopo le due ore in dogana, ci lanciamo verso Trujillo. La strada è spazzata da un vento fortissimo che spira da un mare lontano e invisibile. Il problema più grosso è superare i camion. Il vento s’interrompe di colpo quando ci troviamo affiancati e riprende all’improvviso quando li superiamo. Ogni volta la moto sbanda di parecchi metri, invadendo la corsia opposta. Per fortuna, sono poco più di 200 chilometri.
Trujillo è famosa per alcune i mportanti rovine Inca e per il migliore “cheviche” di tutto il Perù. Le rovine sono notevolissime e il cheviche anche. Per gustare il secondo (una preparazione di pesce crudo e lime), viste le condizioni di alcuni ristoranti, ci vuole una certa dose d’imprudenza, premiata dalla scoperta di una fra le migliori cucine del mondo. Lasciamo Trujillo in direzione di Lima, con l’intenzione di concederci una deviazione verso le Ande lungo il Canyon del Pato. 200 chilometri di pista che s’inerpica fino a 4000 metri, sul bordo di un burrone sempre più profondo, passando per una serie infinita di strettissime gallerie scavate a mano. In serata arriviamo a Huaraz. Fa di nuovo freddissimo. Compriamo qualcosa da mangiare al coloratissimo mercato indio da strane signore che indossano ogni genere di cappellucci (bombette, borsalino, strane piramidi) sempre troppo piccoli, e ci rifugiamo in un alberghetto.

La mattina dopo ci aspettano panorami spettacolari e temperature molto vicine allo zero. Ci congeliamo per quasi quattro ore fino a quando la strada scende di quota e la temperatura ritorna a valori più accettabili. Arriviamo a Lima in un caldo pomeriggio estivo. La città è enorme e raccoglie un terzo dei peruviani. Colpisce il degrado senza speranza che la affligge: basta uscire dai tre quartieri “ricchi” (Barranco, Miraflores e San Isidro) per sentirsi piuttosto insicuri. Poi, mano a mano che ci si sposta verso sud, la situazione peggiora. L’asfalto finisce quasi subito e le spelacchiate colline sono punteggiate di baracche, costruite con materiali di recupero, che cercano di rendersi meno squallide con colori sgargianti che, paradossalmente, accrescono la sensazione di disagio e povertà. Alla nostra impressione contribuisce il tema del progetto (affidato a CESVI) che dobbiamo visitare: sfruttamento sessuale dei minori. Questo compito ci porta a frequentare gente e luoghi fra i più degradati e deprimenti. Cominciamo già la prima notte, con un’intervista a due giovanissime prostitute, in una baracca indescrivibile, immersa fra altre 1000, perse nel buio totale. In una società così squilibrata sono i più piccoli e indifesi a correre i rischi maggiori. In quattro giorni raccogliamo un portfolio di storie raccapriccianti e, per fortuna, anche i risultati di lavoro intelligente, minuzioso e positivo. Tanto più positivo in quanto capace di creare una sensibilità sociale, di coinvolgere e coordinare gli enti statali e di costruire un percorso efficiente per chi si trova esposto a questo genere di problemi. Chiudiamo la visita festeggiando il Natale nella scuola San Josè Obrero, che raccoglie, e cerca di proteggere, i bambini di uno dei quartieri più degradatati della città. E poi possiamo tornare a dedicarci a una attività più “leggera”: viaggiare.

Perciò, visto che la nostra prossima meta sarà la Bolivia, cerchiamo di disegnare un percorso. Per prima cosa punteremo verso Nazca dove, in una impressionante distesa desertica, si stendono i geroglifici più grandi del mondo. Da Nazca ritorniamo sulla costa e poi ricominciamo a salire verso le Ande. Una sosta a Arequipa. Bellissima città, forse la più vivibile di tutto il Perù e poi proseguiamo in direzione di Puno, sul lago Titicaca. Ricominciano freddo, pioggia, llama e vicunas. A Puno, 3900 metri, passiamo il pomeriggio cercando di integrare il nostro abbigliamento con qualcosa di caldo: calze di lana e un paio di maglie in più. Per il resto, la città è carina, ma non offre molto più che un albergo con la camera riscaldata e massicce dosi di mate de coca, ottimo per sopravvivere al freddo e alla quota. Dopodichè puntiamo verso nord ovest in direzione di Cuzco. Improvvisamente passiamo da settimane in cui non abbiamo incontrato neppure un turista a trovarne fin troppi. Il che non toglie nulla alla città: bella, divertente e, in quanto turistica, ricca di tutti i servizi che occorrono.

Non possiamo esimerci da una visita a Machu Picchu: è quasi obbligatoria. Purtroppo, lasciando intatta la magia del sito, che tutti conoscete fin troppo bene anche senza esserci mai stati, dobbiamo segnalare qualche fastidiosa difficoltà. Prima di tutto il costo, davvero eccessivo, soprattutto se rapportato alle condizioni in cui è conservato e l’assurda comunicazione per raggiungerlo. Ma la cosa più fastidiosa è il numero di visitatori ammessi: secondo i nostri calcoli sono sempre presenti almeno 5000 persone, che lo rendono quasi invisibile. L’area di Cuzco però offre molte altre opportunità, come la Valle Sacra, altrettanto interessanti e più vivibili. Comunque il nostro dovere l’abbiamo fatto e possiamo tornare verso Puno a lago Titicaca e puntare sulla Bolivia.
Ci infiliamo i capi appena comprati al mercatino e, sotto una pioggia battente, ci rimettiamo in viaggio…

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