L'Ecuador, pur essendo una delle più piccole nazioni dell'America Latina, mantiene, anzi esalta, le differenze sociali e etniche tipiche di questo continente. La popolazione indigena è presente sia nella zona della cordigliera andina che in quella amazzonica. Sulla costa e a Quito, invece, prevalgono le popolazioni immigrate. Ma vanno fatte importanti distinzioni. Anche se entrambe hanno orgine nel periodo coloniale, alcuni abitanti sono arrivati come conquistatori, altri come schiavi. Ecco perchè stride la differenza fra le nobili "haciendas", i palazzi e le chiese di Quito e la poverissima area costiera dell’estremo nord.
Quest'ultima è afflitta dall’abbandono, dal traffico di droga e dal contrabbando. Invasa da bande paramilitari, minata e bombardata dalle forze colombiane contro le quali il governo neobolivariano del giovane presidente Correa pare avere poche armi. L’effetto di questi problemi purtroppo è misurabile: la zona di San Lorenzo conta una delle mortalità perinatali più alte del mondo. Nessun controllo del territorio da parte dello stato (se si escludono alcuni arcigni posti di blocco), nessuna strada, 400 villaggi, un solo ospedale fatiscente. E’ qui che operano Maria e Irene che si sono occupate di sviluppare un sistema di monitoraggio e assistenza e di costruire dal nulla, senza dimenticare il rispetto delle tradizioni locali, un reparto maternità su standard europei, travolgendo ogni ostacolo e coinvolgendo delle autorità locali (comune, stato, chiesa) e di importanti istituzioni italiane che si sono fatte carico della costruzione e della formazione del personale.
Un aspetto positivo di quest’area è un clima caldo, in linea con quello che è lecito aspettarsi da un paese tagliato in due dalla linea dell’equatore. Ma l’Ecuador non è tutto qua. Basta seguire il percorso della Panamericana per incontrare tutt'altra temperatura. Fa sempre piuttosto fresco (a volte fa proprio freddo) e piove spesso. Il paesaggio si fa, via via, più spettacolare. La strada non è un granchè e il traffico è afflitto da una miriade di camion che arrancano faticosamente sulle ripide salite. A pochi chlometri dalla frontiera Colombiana, vale una sosta il mercato tradizionale di Otavalo, che si tiene tutti i sabati. Poi si prosegue per Quito, località che merita una visita approfondita. Attorno all’immancabile “plaza das armas” si possono ammirare alcune delle costruzioni coloniali più interessanti di tutta l’America Latina.
Visto che il traffico è piuttosto convulso e le antiche stradine non aiutano, è molto meglio passeggiare o utilizzare qualche taxi, dopo aver ben contrattato il prezzo. Lasciata la capitale, ci siamo diretti a sud, verso Riobamba e Cuenca. La strada costeggia i vulcani più alti del mondo. A proposito della loro altezza è aperta una diatriba interessante: gli Equadoriani sostengono che si tratta delle montagne più alte del mondo. Infatti il diametro della terra è più elevato all’equatore, perciò, misurandone l’altezza dal centro della terra, la cima del Chimborazo sarebbe ben 2500 metri più “in alto” di quella dell’Everest. Misure a parte, lo spettacolo è impressionante e il paesaggio circostante, favorito dalla presenza delle scorie vulcaniche è estremamente fertile e ben coltivato.
Dirigendosi verso Cuenca il panorama fa gli straordinari: si sale si scende fra creste affilate e valli profondissime. Cuenca è una città piacevole, ricca e ben tenuta, ottimo trampolino per raggiungere il passo Cajas, un paesaggio che definire “alpino” è inadeguato. Giunti alla cima meglio riscaldarsi con un buon caffè bollente. La cucina ecuadoriana è piuttosto monocorde, ma gustosa. In città o nelle poche località turistiche ci sono discreti ristoranti. Noi, che viaggiamo in moto, ci siamo sempre rifocillati nelle posadas lungo la strada, di solito riconoscibili per la presenza delle spoglie di un maiale allo spiedo. Il menù è sempre lo stesso: chancho & choclo (maiale e mais). Gli arredi sono sempre “essenziali” e le posate del tutto assenti, ma il cibo è ottimo e il personale gentilissimo. Anzi, direi che la gentilezza, accompagnata da un certo formalismo, è il tratto comune di tutti, anche dei più poveri. Nel linguaggio, vi colpirà l’uso costante dei diminutivi, anche in termini che non lo richiederebbero. Perfino chiedendo indicazioni, vi diranno di andare a “derechita” e non alla derecha (destra). Lasciata Cuenca in direzione della costa, avrete un’altra sorpresa: si entra in un deserto che vi accompagnerà lungo la costa Peruviana e fino al Cile.