Velo, avvocato Corte Ue: ammissibile divieto di portarlo in azienda
Il caso è quello di Samira Achbita, di fede musulmana: la donna voleva coprirsi durante le ore di lavoro, ma è stata licenziata. Respinto il suo ricorso: non c'è stata discriminazione
Per l’Unione Europea vietare il velo sul posto di lavoro non è discriminatorio. La sentenza dell’avvocato generale della Corte di Giustizia Europea è destinata a far discutere. Il caso è quello di Samira Achbita, di fede musulmana. La donna voleva portare il velo durante le ore di lavoro in un’azienda belga che, facendo appello alla loro politica che impone il divieto di portare segni religiosi, l’ha licenziata. La donna si è rivolta al tribunale, ma ha perso sia in primo grado sia in appello.
A questo punto la Corte di Cassazione belga ha chiesto chiarimenti alla Corte di Giustizia dell’Ue, che tramite l’avvocato generale Juliane Kokott ha detto che il provvedimento non costituisce una discriminazione diretta, visto che si fonda su una regola aziendale generale e non si fonda su stereotipi o pregiudizi nei confronti di una o più religioni determinate. La posizione della Corte Europea, però, non vincola i giudici dei singoli Stati che potranno decidere in autonomia. Spetta dunque alla Corte di Cassazione belga decidere in base al rispetto delle prescrizioni del diritto dell’Unione. In termini generali, comunque, la questione non è centrale per il velo, che lascia visibile il volto della donna, quanto per il burqa che, secondo molti Paesi, pone dei problemi di sicurezza pubblica visto che la persona non è immediatamente identificabile. Attualmente in Italia una legge specifica non è mai passata. Ma da qualche mese negli ospedali lombardi è vietato l’ingresso alle donne musulmane che indossano il burqa.
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