Sara è stata ammazzata in una periferica strada di Roma ed ora si dice che chi passava di lì ed ha visto tutto, poteva salvarla. Si dice che poteva fermarsi e caricarla sulla propria auto e fuggire. Si dice che poteva almeno chiamare le forze dell’ordine. Si dice addirittura che potrebbe ora rischiare anche un'accusa penale per omissione di soccorso. Quante cose si dicono sull'onda di un'emozione violenta, della rabbia per l'ennesimo femminicidio, questa volta più orrendo e brutale del solito (già, come se un femminicidio possa essere più o meno orrendo e brutale!).
C'è un capo poliziotto che dice di non aver mai visto in 25 anni di carriera un assassinio così efferato. E c'è un sostituto procuratore che accusa: poteva essere salvata. Ma perché nessuno ha mosso un dito, nessuno ha telefonato al 113 o al 112? Roma s'è rinvigliacchita tutta d'un colpo?
Quella che vi racconto è una storia vera, accaduta ad un collega giornalista. Chiamiamolo Pino, allora poco più di un ragazzo e oggi vicino alla pensione, buono, gentile e altruista che tornava da Fregene a due passi dalla capitale dopo una giornata di mare. Più o meno un quarto di secolo fa. Viaggiava in auto con un'amica quando sul ciglio della strada vede una ragazza col vestito strappato che fugge gridando "aiuto! Quello mi ammazza". Pino non ci pensa due volte. Inchioda e invita freneticamente la ragazza a salire aprendole lo sportello. Lei, terrorizzata, si precipita nella vettura gridando "presto presto! Parti! Corri! Scappa!". Pino ingrana la marcia e sgomma via. Dopo cinque minuti a forte velocità in direzione di Roma, l’auto dei fuggitivi viene affiancata da un'altra vettura dalla quale un tizio esagitato fa cenni furiosi di fermarsi. Pino accelera. Nelle mani dell’inseguitore appare un fucile a canne mozze che spara un colpo in faccia al coraggioso cittadino romano che obbedisce, prima che all’art. 593 del codice penale, alla propria coscienza. Solo per miracolo si salva.
Ancora oggi quel volto crivellato sputa pallini di piombo che gli hanno, anche, menomato un occhio. Chiamato a testimoniare al processo è stato perseguitato da minacce e vessazioni perché ritrattasse tutto. La sua vita è praticamente finita quel giorno d’estate di 20 anni fa. Vive rintanato, scrive libri si guarda dietro ad ogni passo, non può cancellare dal corpo e dalla mente ricordi tremendi. Sono affranto e distrutto per la morte di Sara. Ma per favore non date la colpa a Pino perché questa volta non si è fermato per prestarle aiuto.