Qual è lo stato di salute delle industrie italiane attive nel settore delle biotecnologie? Stando all’ultimo rapporto di Assobiotech, intitolato Le imprese di biotecnologie in Italia – Facts&Figures si tratta di un comparto di eccellenza caratterizzato da forte dinamismo, ma che allo stesso tempo presenta dei punti di debolezza.
Sono quasi 500, più precisamente 489, le imprese biotech nel nostro Paese: nella maggior parte dei casi si tratta di aziende di piccola o media entità, ma che rappresentano – per dirla con le parole di Assobiotech – l’elemento trainante dell’intero settore. Nel 2014 il fatturato ha superato i 9,4 miliardi di euro ed è previsto crescere del 12,8% entro il 2017 e del 18,1% entro il 2019.
Gli altri numeri contenuti nel Rapporto indicano poi 9.400 addetti e investimenti in ricerca e sviluppo pari a 1,8 miliardi di euro, con un’incidenza del 25% sul fatturato per le imprese dedicate alla ricerca e sviluppo nel biotech a capitale umano. E’ proprio quest’ultimo il punto di forza del settore. Le imprese attive nel Biotech, infatti, vantano una quota di addetti in ricerca e sviluppo cinque volte maggiore rispetto alle tradizionali imprese manifatturiere. Non solo, anche la spesa , rispetto al fatturato, dedicata alla ricerca è maggiore di 2,3 volte.
Il 53% delle imprese biotecnologiche attive sul territorio nazionale sono impegnate nel comparto delle biotecnologie della salute. Queste vantano un fatturato di 7,1 miliardi di euro, di cui 1,4 miliardi vengono investiti in R&S. Il secondo comparto, per numero di imprese di questo tipo, è quello delle biotecnologie industriali. In termini assoluti si parla di 119 imprese, ovvero il 24% del totale. Il 9% è invece attivo nel settore agricolo e zootecnico, con 44 imprese.
Numeri incoraggianti, soprattutto se si calcola che solo il 4% delle aziende è riuscita ad accedere a finanziamenti di Venture Capital (capitale di rischio finanziato da un investitore per l’avvio di un’attività). Oltre la metà delle imprese biotech infatti – il 56% - è autofinanziata, il 26% ha avuto accesso a contributi in conto capitale, mente il 16% ha fatto ricorso al capitale di debito.