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Effetto Dpcm: da domani in Italia rimarranno chiusi 2 ristoranti su 3

L'analisi della Coldiretti alla vigilia della nuova mappa dei colori che "chiuderà" gran parte del Paese

Con il primo Dpcm del governo Draghi appena entrato in vigore (lo rimarrà fino al 6 aprile), chiudono il 66% dei ristoranti (oltre bar, pizzerie e agriturismi). Secondo le stime della Coldiretti, infatti, l'ultimo blocco anti Covid varato dal governo coinvolge oltre 2 locali su 3 lungo la Penisola che si colora di rosso e arancione (a volte "rafforzato"). Saranno invece 12mila i servizi della ristorazione che possono addirittura rimanere aperti la sera in Sardegna (ormai zona bianca).

Coldiretti ha effettuato l'analisi in occasione della nuova mappa dei colori che scatta da domani (lunedì 8 marzo): restano gialle solo Valle d'Aosta, Liguria, Lazio, Calabria, Puglia e Sicilia. Con l'evidente del peggioramento della curva epidemiologica, sono inevitabili gli effetti sulle libertà individuali, sulla vita sociale ma anche sulla sostenibilità economica delle attività produttive ad un anno dall'inizio della pandemia.

La possibilità di apertura serale a cena - sottolinea la Coldiretti - vale l'80% del fatturato di ristoranti, pizzerie ed agriturismi duramente provati dalla chiusure forzate ma nelle regioni gialle è consentita la sera solo la consegna a domicilio o l'asporto che riduce la sostenibilità economica per giustificare le aperture tanto che in molti preferiscono mantenere le serrande abbassate aumentando le perdite economiche ed occupazionali. Ancora più grave la situazione nelle zone rosse ed arancioni dove è sempre proibito il servizio al tavolo e al bancone con un ulteriore colpo a bar, ristoranti e agriturismi che travolge a valanga interi comparti dell'agroalimentare made in Italy, con vino e cibi invenduti per un valore stimato dalla Coldiretti in 11,5 miliardi dopo un anno di aperture a singhiozzo che hanno messo in ginocchio l'intera filiera dei consumo fuori casa che vale un terzo della spesa alimentare degli italiani fuori casa.

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La drastica riduzione dell'attività pesa infatti sulla vendita di molti prodotti agroalimentari, dal vino alla birra, dalla carne al pesce, dalla frutta alla verdura che trovano nel consumo fuori casa un importante mercato di sbocco. In alcuni settori come quello ittico e vitivinicolo la ristorazione - precisa la Coldiretti - rappresenta addirittura il principale canale di commercializzazione per fatturato ma ad essere stati più colpiti sono i prodotti di alta gamma come vino, salumi e formaggi. Si stima che 300 milioni di chili di carne bovina, 250 milioni di chili di pesce e frutti di mare e circa 200 milioni di bottiglie di vino non siano mai arrivati nell'ultimo anno sulle tavole dei locali costretti ad un logorante stop and go senza la possibilità di programmare gli acquisti anche per prodotti fortemente deperibili. Numeri dietro i quali ci sono decine di migliaia di agricoltori, allevatori, pescatori, viticoltori e casari che soffrono insieme ai ristoratori.

Nell'attività di ristorazione in Italia sono coinvolti circa 360mila tra bar, mense, ristoranti e agriturismi, ma le difficoltà si trasferiscono a cascata sulle 70mila industrie alimentari e 740mila aziende agricole lungo la filiera impegnate a garantire le forniture per un totale di 3,6 milioni di posti di lavoro. Si tratta di difendere - conclude Coldiretti - la prima ricchezza del Paese con la filiera agroalimentare nazionale che vale 538 miliardi pari al 25% del Pil nazionale ma è anche una realtà da primato per qualità, sicurezza e varietà a livello internazionale.

Coronavirus, in Campania lezione allo zoo per protesta contro la Dad

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