FOTO24 VIDEO24 2

Maestra licenziata dopo foto hard a Torino, due condanne. I giudici: "Intento denigratorio e morbosità"

Nella sentenza si legge che la direttrice fu "spinta a compiere il reato dal desiderio di proteggere la propria attività lavorativa, circostanza che può averne offuscato le capacità valutative". Per questo la pena finale è stata ridotta

Maestra licenziata dopo foto intime, la lettura della sentenza a Torino

1 di 6
2 di 6
3 di 6
4 di 6
5 di 6
6 di 6
La lettura del dispositivo da parte del giudice Modestino Villani al termine del processo che si è svolto a Torino

Una vicenda in cui "l'intento denigratorio" nei confronti della persona offesa si mescola ad aspetti "morbosi". Questo il quadro che emerge dalle motivazioni della sentenza con cui un giudice del tribunale di Torino, Modestino Villani, ha pronunciato due condanne per il caso della maestra della scuola d'infanzia che nel 2018 perse il lavoro dopo la diffusione non voluta di immagini intime. Il processo riguardava la direttrice dell'istituto (condannata a un anno e un mese) e una delle mamme (un anno). 

La giovane insegnante aveva mandato delle sue foto a un ragazzo che frequentava all'epoca, il quale le divulgò (senza avvertirla) su una chat di amici. Quando la notizia si diffuse, la docente fu indotta a dimettersi. Nel passaparola, che coinvolse la direttrice e le mamme dei piccoli frequentatori dell'istituto, secondo le indagini, il contenuto delle immagini fu ingigantito, con linguaggio crudo ed esplicito, fino a tentare di far passare la maestra come "persona capace di porre in essere atti di pornografia con diversi partecipanti immortalati in più video" (cosa non vera) per "esporla al pubblico biasimo".

Il giudice ha annotato anche la conversazione in cui una donna - non imputata - ha chiesto "con insistenza" e "palese interesse pruriginoso" di avere i video; la mamma, imputata, le mandò solo uno screenshot "dando soddisfazione alla morbosa curiosità" descrivendo un gesto inesistente. Nella sentenza si dà atto comunque che la direttrice fu "spinta a compiere il reato dal desiderio di proteggere la propria attività lavorativa, circostanza che può indubbiamente averne offuscato le capacità valutative". Per questo la pena finale è stata ridotta. 

Espandi