La prima impressione conta davvero. O forse no
Serve al cervello per categorizzare rapidamente, ma può avere meno peso di quanto si pensi. In ogni caso, perché rischiare?
La scienza dice che impieghiamo meno di 40 millisecondi a formarci la prima impressione su una persona che incontriamo per la prima volta. Il meccanismo, oltre che fulmineo, è in gran parte inconscio, quindi si svolge al di fuori del nostro controllo. Molto più lento e complesso è invece il processo inverso, necessario a liberarci delle convinzioni che ci siamo formati “a pelle”; sembra dunque che trasmettere un’immagine positiva di noi fin dal primo istante sia fondamentale. Eppure, non mancano quelli secondo cui “un libro non si giudica dalla copertina”. Chi ha ragione?
COME SI FORMA LA PRIMA IMPRESSIONE - I fattori che entrano in gioco sono moltissimi e, come abbiamo detto, non tutti consapevoli. I tratti somatici, il colore della pelle, il fatto che quando siamo nervosi tendiamo a sudare maggiormente, oppure il fatto che indossiamo gli occhiali o abbiamo pochi capelli in testa: tutto questo contribuisce. Se vogliamo trasmettere una buona sensazione di noi stessi, dobbiamo essere consapevoli che esiste un'area d'ombra sulla quale non possiamo agire. Basta, ad esempio, che il nostro viso o il nostro tono di voce ricordi al nostro interlocutore una persona o un momento sgradevole e la frittata è già fatta. Però, se ci teniamo a presentarci al meglio, ci sono elementi da non trascurare: curiamo il nostro aspetto evitando eccessi e stravaganze, comportiamoci in modo piacevole e spontaneo, guardiamo negli occhi il nostro interlocutore durante la conversazione (senza fissarlo); insomma, mostriamoci sereni, a nostro agio e sorridenti. Saremo già a metà dell’opera.
PERCHÉ LE COSE FUNZIONANO COSÌ? - Una delle ragioni per cui tendiamo a fidarci di quello che ci suggerisce il nostro istinto si fonda sul fatto che è molto comodo affidarci a un’idea che ha già dimostrato la sua validità in passato. Il cervello umano, per effetto dell'evoluzione, cerca in ogni situazione di risparmiare attività ed energia, in modo da essere pronto e scattante per una necessità imprevista e potenzialmente pericolosa. Un altro dei meccanismi atavici che guida la formazione delle prime impressioni si fonda sul trovare rassicurazione in individui simili a noi: in certi momenti della storia umana il fatto di saper riconoscere a colpo d'occhio chi apparteneva al nostro clan da un intruso e potenziale nemico, poteva fare la differenza tra vivere o morire.
L’ABITO FA IL MONACO... – Pare brutto dirlo, ma le cose stanno proprio così. Lo ha dimostrato anche un celebre studio condotto dagli psicologi del Laboratorio delle Tecniche di influenza di Vannes, guidati dallo psicologo Nicolas Guéguen; un ricercatore, vestito una prima volta in giacca e cravatta e una seconda volta in abiti casual, si fece sorprendere a rubacchiare in un negozio di dischi. Solo l’11% dei clienti segnalò il comportamento del ladro benvestito, mentre il 35 % intervenne quando il ricercatore era in jeans e scarpe da tennis
... MA UN LIBRO NON SI GIUDICA SOLO DALLA COPERTINA – Affidarci al nostro istinto, specie se dobbiamo prendere una decisione in pochi istanti, è una strada che ha una sua validità, specie se il “fiuto” è allenato da una lunga esperienza. L’importante è non fermarsi lì: osservando la persona su cui abbiamo formulato un primo giudizio, analizziamo con obiettività i suoi comportamenti successivi e restiamo pronti a cambiare idea con franchezza e senza pregiudizi. E se siamo noi le vittime di un errore di valutazione “a pelle” non scoraggiamoci: non tutto è perduto. Se siamo perseveranti e ci troviamo in un ambiente aperto e accogliente avremo di certo una seconda occasione. Utilizziamo però il tempo a nostra disposizione per capire che cosa non ha funzionato la prima volta: cerchiamo di migliorare il nostro modo di comunicare e di rapportarci agli altri, studiamo il nostro look e il nostro linguaggio non verbale, rivediamo i nostri comportamenti. Perché la prima impressione si può modificare, ma se la confermiamo una seconda e magari anche una terza volta, il danno diventa irreversibile.
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