C’è una sottile linea che divide il Paese. Corre tra i cittadini in maniera impalpabile e silenziosa, ma i suoi effetti sono talmente tangibili da farci domandare: quanto ancora potremo andare avanti? Se lo chiede anche Francesco Vecchi, nel suo ultimo libro edito da Piemme. “Gli scrocconi” è la linea che separa il nocciolo duro dell’Italia - 5 milioni di persone – dal resto della popolazione: una piccola fetta di contribuenti che da soli pagano le tasse per tutti. La colpa di questi benefattori è una sola: guadagnare più di 35 mila euro all’anno. Lungi dall’essere definiti dei nababbi, sono proprio loro – e cioè gli appartenenti alla classe media - a dover saldare i conti col fisco per l’intero Paese. E gli altri? Non scansano i doveri: semplicemente non ne hanno.
Di fronte a uno stipendio dichiarato di 20mila euro lo Stato non ha dubbi. Provvede distribuendo bonus a pioggia e aiuti scaglionati in base al reddito, che si intensificano – e persino si accumulano – a mano a mano che il reddito scende. Il contributo a sanità, pensioni e scuola è minimo. Se poi si allarga il quadro all’intero nucleo famigliare i vantaggi sono ancora più consistenti. Non è un caso, ricorda Vecchi, che l’Italia sia tra i primi Paesi al mondo per spesa assistenziale: un record degno dei virtuosi Stati del nord-Europa verrebbe da dire, peccato che secondo le stime la Svezia spenda meno di noi. Ma quante persone hanno veramente bisogno d’aiuto? L’autore prova a rispondere uscendo dai binari tracciati negli anni dall’Istat: statistiche obsolete, basate su “un’autodichiarazione trascritta a mano che non sa distinguere i casi di vera povertà dalla criminalità o dalle ludopatie. Per questi casi, siamo sicuri che la soluzione giusta sia un ennesimo assegno mensile?”.
C’è un limite preciso in cui l’assistenzialismo diventa disincentivo al lavoro. La carrellata di storie è esemplare. Ragazzi di venticinque anni che anziché mettere in regola lo stabile in cui lavorano, preferiscono chiudere l’attività, utilizzando il reddito di cittadinanza per sponsorizzare i propri sogni da cantanti neomelodici. Baby pensionati che a 58 anni si godono il meritato riposo in Portogallo, approfittando di condizioni agevolate simili solo a quelle dei paradisi fiscali. Imprenditori agricoli che non trovano nessuno disposto a fare da capo stalla, nemmeno se la paga è pari a 3mila euro netti al mese.
Vecchi aspetta di essere quasi a metà narrazione per rivelare un dato scioccante, quasi voglia preparare psicologicamente il lettore alla terribile scoperta che lo attende. L’Italia ha 15 milioni di disoccupati: un numero che supera di 4 milioni la media europea. Persone tra i 20 e i 65 anni che “ogni giorno si alzano e non fanno nulla”. A loro si aggiungono lavoratori in nero ed evasori di ogni ordine e grado. Dagli idraulici allergici alle fatture ai centri estetici che dichiarano incassi ridicoli: non stupisce che a loro i ristori per il Covid, calcolati in base ai guadagni ufficiali, non siano bastati per campare.
Ma il libro di Vecchi non è dedicato a coloro che vivono sulle spalle altrui. È dedicato invece ai meno furbi, ai “fessi”, a quei 5 milioni di cittadini che si spezzano la schiena per trainare un Paese da 60 milioni di abitanti. Anche qui la denuncia dell’autore è secca: “se è vero che per il fisco solo un italiano su cento guadagna più di 100 mila euro lordi, chi le compra tutte quelle auto di lusso parcheggiate nelle nostre strade? Chi riempie gli alberghi d’estate e d’inverno? Chi ha consentito al settore della ristorazione una crescita senza precedenti negli ultimi dieci anni?” Ironico e diretto, “Gli scrocconi” stimola il lettore a una presa di coscienza ben precisa: la redistribuzione degli oneri dell’attività produttiva deve diventare conditio sine qua non di quella ripresa post-Covid indispensabile per il futuro dell’Italia. Solo così si potrà distinguere, finalmente, la linea che separa il merito dal diritto acquisito.
Gli scrocconi
di Francesco Vecchi
Piemme
Euro 17,50