Lo sappiamo tutti: il divertimento e il piacere mettono le ali alle lancette dell’orologio, mentre il tempo sembra non passare mai quando ci sentiamo annoiati o scontenti. Non si tratta solo di una sensazione: alla base del fenomeno ci sono una serie di meccanismi biochimici regolati da alcune sostanze ben precise, in particolare la dopamina, la cui maggiore o minore concentrazione ha il potere di accelerare o rallentare la percezione che abbiamo del trascorrere di ore e minuti. Purtroppo, come ben sappiamo, i momenti piacevoli fuggono come il vento, mentre quelli pesanti e faticosi sembrano interminabili.
Il modo in cui avvertiamo il passare del tempo ha poco a che fare con la misurazione oggettiva che ne può fare un orologio, ma dipende da una serie di fattori, tra cui la quantità e la qualità degli stimoli che ci arrivano dal mondo circostante e dai livelli di alcune sostanze che il nostro organismo produce a seconda delle varie situazioni. La scienza ha indagato su questa comune esperienza: uno studio pubblicato sulla rivista Science e realizzato dai ricercatori del Champalimaud Centre di Lisbona (Portogallo) ha evidenziato che la regia dei complessi meccanismi che regolano la percezione dello scorrere del tempo è in gran parte dominata dalla dopamina, una molecola rilasciata dal cervello nei momenti di eccitazione e di benessere. La dopamina è un neurotrasmettitore che entra in gioco in una serie di attività, tra cui il movimento, la capacità di attenzione e, particolarmente importanti nel nostro caso, i meccanismi di gratificazione e ricompensa. Il rilascio di dopamina è favorito da tutto ciò che genera soddisfazione e piacere, dal sesso alla gratificazione che si può provare in un momento piacevole e divertente. Il maggiore rilascio di questa sostanza può modificare la nostra percezione dello scorrere del tempo, accelerandola anche in modo notevole o ,al contrario, rallentandola a dismisura.
Gli scienziati sono giunti a queste conclusioni dopo un esperimento nel quale alcuni gruppi di roditori sono stati allenati a riconoscere e valutare la lunghezza di alcuni intervalli di tempo. I topolini sono stati quindi suddivisi in due gruppi: nel primo è stata stimolata la produzione di dopamina, mentre nel secondo il rilascio del neurotrasmettitore è stato inibito. Eseguendo il consueto esercizio di stima del tempo, le cavie del primo gruppo hanno mostrato la tendenza a sottostimare la durata degli intervalli, mentre il secondo gruppo ha manifestato la propensione opposta. Lo studio, oltre a confermare un fenomeno curioso e un’esperienza comune, ha avuto soprattutto il merito di spiegare la ragione per cui in presenza di alcune malattie degenerative, come il morbo di Parkinson, la percezione del tempo che passa sia gravemente compromessa. Il Parkinson infatti attacca alcune aree specifiche del mesencefalo e lo studio si era in effetti concentrato sulla produzione di dopamina in questa specifica area del cervello.
Una ricerca precedente, condotta stavolta dagli scienziati francesi del Laboratoire de Neurobiologie de la Cognition di Marsiglia e anch’essa pubblicata su Science, aveva già messo in luce che la percezione del passare del tempo è condizionata dal livello di attenzione che si presta al proprio ambiente circostante e dagli stimoli provenienti da esso. Gli scienziati hanno studiato l’attività cerebrale di alcuni volontari per mezzo della risonanza magnetica funzionale. Durante la scansione, alcuni sono stati invitati a concentrarsi sulla durata della proiezione di un’immagine, ad altri è stato chiesto di concentrarsi solo sui colori delle stesse immagini, e al altri ancora su entrambi gli aspetti. La risonanza magnetica ha evidenziato, nei soggetti invitati a concentrarsi solo sulla durata delle immagini, una maggiore attivazione di una particolare area del cervello, il sistema cortico-striatale. Quando invece i soggetti erano concentrati su più stimoli, il cervello sembrava fare meno caso alla scansione del tempo.