In quell'interessante interregno tra il dominio dei giochi bidimensionali e i primi accenni di 3D "spinto" - inquadrabile tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio del decennio successivo - i videogiocatori hanno assistito a un’importantissima transizione fatta soprattutto di tentativi e di voglia di osare. Una società che di certo all’epoca non si tirava indietro quando c’era da provare a innovare un po’ è stata la storica Atari.
Oltre ad essere una pioniera dei videogame da casa con le sue console come Atari 2600 e in aggiunta al merito di aver reso molto popolare in occidente il nostro hobby, Atari si fece notare più di una volta nelle sale giochi con cabinati quantomeno interessanti, a volte anche esteticamente: basti pensare a titoli storici come Marble Madness o Gauntlet, oppure a stramberie come Toobin’ (col suo cabinato che simula una cascata).
Nel 1989 Atari cercò di stupire il mondo dei videogame lanciando un racing game che si discostava notevolmente dalle sue produzioni squisitamente arcade. Soprattutto, un videogame fatto di poligoni. Nudi, per carità, senza texture e ombreggiature, ma queste erano cose che avremmo visto solo più in là. Invece il volenteroso Hard Drivin’ si presentava in tutta la sua maestosa spigolosità, offrendo un’esperienza di guida decisamente fuori dal comune.
Oltre che essere un racing game innovativo, Hard Drivin’ è innanzitutto una scommessa per Atari dal momento che le prime stime di pre-produzione del cabinato parlano di un costo finale per l’acquirente - cioè, il gestore della sala giochi - di circa 10mila dollari al pezzo, una cifra stellare nel 1989 che per poco non fa deragliare il progetto a causa delle proteste di parte della dirigenza. Fortunatamente la società decide di andare avanti e così ci ritroviamo il rosso cabinato a forma di auto, con chiave per accendere il motore, frizione e un volante vibrante che all’epoca faceva una bella impressione.
Soprattutto, eccoci di fronte a una grafica effettivamente mai vista prima, con auto, circuito e ostacoli modellati interamente in 3D. Vedere oggi in azione Hard Drivin’ coi suoi quindici frame al secondo scarsi fa quasi tenerezza ma all’epoca avvicinandosi si respirava un’aria di svolta, di novità, di - passateci il termine - next-gen.
Non solo: Rick Moncrief, designer del gioco, pensò bene di permettere ai giocatori decisi a mollare un obolo ad Hard Drivin’ di offrire un’esperienza personalizzabile consentendo di scegliere tra una pista “regolare” definita Speed Track e un’altra un po’ folle, con tanto di “giro della morte”, chiamata Stunt Track: per scegliere il giocatore doveva semplicemente seguire i segnali stradali a inizio della partita.
Tra le caratteristiche innovative del gioco troviamo inoltre la prima vera implementazione del replay, della durata di una decina di secondi e capace di evidenziare in modo convincente gli incidenti del giocatore (a volte con tanto di grezza ma appagante esplosione della vettura).
Una scommessa vinta, quella di Hard Drivin’: il cabinato risultò molto popolare e il prezzo elevato non ne limitò troppo la diffusione (si parla di circa 3500 cabinati piazzati nel mondo). All’uscita del gioco fecero seguito numerose conversioni per sistemi da casa, tutte abbastanza dimenticabili (se non orribili come quelle, praticamente impossibili, per sistemi a 8 bit come il Commodore 64).
Un seguito, Hard Drivin’ II: Drive Harder, fu pubblicato nel 1991 per home computer, mentre un’interessante (e persino decente, nell’ottica di una console portatile) conversione per Atari Lynx arrivò nel 1992. Un seguito per sale giochi arrivò nel 1990 col titolo Race Drivin’: qualche fortunato potrebbe anche averlo incrociato nella rara versione Panorama, con schermi multipli che simulavano l’abitacolo.
Come nota a margine è interessante notare che la distribuzione di Hard Drivin’ in Giappone fu a opera di una certa software house di nome Namco che, guarda caso, qualche anno più tardi avrebbe sfornato il suo racing game con una bella vettura rossa come protagonista, ovvero l’indimenticabile Ridge Racer.
Bisogna anche dire che Namco stessa con suo stesso Winning Lap ha battuto Atari di qualche mese sul primato del primo racing game poligonale pubblicato in sala giochi, ma chi lo sa, magari il successivo arrivo di Ridge Racer fu in parte dovuto proprio ai poligoni vuoti e scattosi di Hard Drivin’?