CAMALEONTE DEL ROCK

Cinque anni senza David Bowie, l'uomo caduto sulla terra che ha illuminato il pop-rock

Il 10 gennaio del 2016 la popstar moriva stroncato da un cancro. Aveva appena compiuto 69 anni e dato alle stampe il suo ultimo lavoro, "Blackstar".

di Massimo Longoni

© IPA

Cinque anni senza David Bowie, ma con la sua musica sempre presente. Il 10 gennaio del 2016, solo due giorni dopo aver pubblicato il suo ultimo album "Blackstar" in coincidenza con il suo 69esimo compleanno, l'artista inglese si spegneva vinto da un cancro. Un lustro dopo resta un'icona capace di attraversare generazioni e campi artistici.

Cinque anni, "Five Years", come il brano che apre uno dei suoi lavori più famosi di sempre, "The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars", e di cui i Duran Duran hanno pubblicato una cover proprio pochi giorni fa come tributo a uno dei loro modelli di sempre. L'album nel 1972 lo consacrò a popstar internazionale anche se alle spalle aveva già capolavori assoluti come "Hunky Dory" (che contiene tra gli altri brani "Life on Mars?") o "The Man Who Sold the World". Ma è con la creazione del personaggio Ziggy che di fatto Bowie dà il via a quella che sarà la cifra stilista di tutta la sua carriera: dare vita a un'incarnazione che calzi a pennello con un determinato genere musicale, e poi bruciarla sull'altare dell'evoluzione. Ziggy è durato lo spazio di un paio di album, per lasciare spazio via via al decadente soul man di "David Live" e "Young Americans", diafano e consumato dalla cocaina, l'elegante e retrò "Thin White Duke" di "Station to Station". E poi via verso la rinascita della trilogia berlinese, il Pierrot del futuro di "Ashes to Ashes". E poi quasi a dimostrare di poter essere anche quello, la popstar planetaria di "Let's Dance". 

Si è sempre detto che Bowie ha anticipato mode e movimenti. In realtà la sua Bowie prima ancora di inventare è stata nell'avere un fiuto incredibile e unico nel cogliere fermenti e avanguardie che ribollivano nel sottobosco per farle immediatamente sue e portarle al grande pubblico prima di tutti gli altri. Che fosse il glam, l'elettronica, il pop plasticoso o addirittura il grunge (la rivoluzione "purista" dei Tin Machine precede di un paio di anni "Nevermind" dei Nirvana) e la jungle, Bowie è riuscito ad attraversare moltissimi generi diventando poi modello e punto di riferimento per moltissimi movimenti. Un'inclinazione perfettamente riassunta da un episodio di cui fu protagonista con Mick Jagger. Nel 1974 il cantante dei Rolling Stones parlò a Bowie dell'idea di affidare la copertina del loro nuovo disco al pittore belga Guy Peellaert. Il giorno dopo Bowie chiamò Peellaert che dipinse la cover di "Diamond Dogs" beffando l'amico e collega. Jagger, anni dopo, avrebbe detto: "Non mettetevi un paio di scarpe nuove davanti a lui o gliele vedrete ai piedi il giorno dopo".    

Bowie è riuscito a trasformare in opera d'arte persino la propria morte, privilegio concesso soltanto ai più grandi. Non solo ha lavorato in maniera indefessa a "Blackstar" mentre il cancro lo consumava, ma è riuscito a fare di quel disco l'ennesimo balzo in avanti sperimentale, con il tempismo magico di farlo uscire solo due giorni prima di morire. Senza contare l'ultimo incredibile video, quello di "Lazarus", dove la morte è davvero una maschera sul suo volto (anche se all'epoca qualcuno arrivo a criticarlo insinuando avesse ceduto a qualche ritocchino...): David si muove indossando lo stesso vestito che aveva nella foto interna di "Station to Station" (dove era intento a disegnare l'albero della vita della Kabbalah) in un intreccio di vita e morte, passato e presente, esoterismo e commiato. Come a voler sottolineare che quel congedo dal mondo terreno era semplicemente l'ennesimo cambio di stato, una nuova fase della sua carriera, perché grazie alla sua opera, come Lazzaro, in fondo la morte l'ha ingannata per sempre.