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La storia dell’Agente 47, l’assassino videoludico per eccellenza

Come fa un clone come il protagonista di Hitman a diventare così famoso? Con dedizione, inventiva e un’inesauribile dose di professionalità

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Ci sono molti videogiochi che premiano la creatività del giocatore, ma nessuno è come Hitman. Se ci limitassimo a dire che è una serie “stealth”, non renderemmo davvero giustizia: dal 2000, anno di uscita del primo capitolo (Hitman: Pagato per uccidere) a oggi, con Hitman III in rapido avvicinamento, Io-Interactive ha costruito un vero e proprio sistema di rompicapo stealth, dove l’assassinio era solo il risultato ultimo di una complessa equazione. Una componente fondamentale di tutto questo è stata, senza dubbio, il protagonista: l’Agente 47.

Potremmo quasi azzardarci a definire l’Agente 47 un “anti-Bond” ma anche, perché no, un “anti-John Wick”. Entrambe un po’ azzardate, ma entrambe calzanti per motivi diversi. Andiamo per gradi: il protagonista della serie Hitman è un clone caratterizzato da uno sguardo di ghiaccio, una testa pelatissima e un bel codice a barre stampato sul collo. L’esperimento dal quale è nato, che a tratti ricorda - spoiler? - Snake di Metal Gear Solid, aveva come obiettivo la creazione dell’assassino per definizione. E, sfortunatamente per i suoi “genitori”, è andato a buon fine: lo testimoniano, dall’oltretomba, il dottor Otto Wolfgang Ort-Meyer e gli altri quattro donatori di codice genetico.

A renderlo simile all’ancora più celebre Agente 007 è la flemma: una delle caratteristiche dell’assassino protagonista di Hitman è la compostezza. Raramente lo abbiamo sentito anche solo alzare la voce, e ancora più di rado lasciarsi scappare qualche imprecazione e qualche battuta (ad esempio nel libro Hitman: Enemy Within). Invece, a distanziarlo dal britannico Bond, ci pensa la sua natura di anti-eroe: l’agente 47 non è crudele – anzi, in più occasioni ha mostrato un lato umano, magari andando a confessare i propri peccati da Padre Vittorio (Hitman 2: Silent Assassin), oppure lamentandosi di chi usa i bambini come arma (Hitman: Absolution).

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Per quanto riguarda invece il parallelo con John Wick, ritroviamo in lui la stessa meticolosità e la stessa straordinaria, impareggiata abilità nel portare a termine gli incarichi che, in questi anni di onorato servizio, l’Agente 47 ha sempre dimostrato. C’è però, anche qui, una differenza sostanziale tra i due: mentre Wick è un personaggio che cerca di allontanarsi dal sanguinario mondo del lavoro, il protagonista di Hitman sembra quasi non poterne fare a meno.

Non è trattenuto da qualche legame in particolare, né deve per necessità continuare a uccidere (il suo conto in banca, a questo punto, dovrebbe essere a dir poco gonfio); non si capisce neppure cosa sia che lo tiene ancorato lì, tra un contratto e l’altro – passione? Dipendenza? – ma fatto sta che non sembra ancora voler smettere.

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La prima serie, cominciata come già detto nel 2000, conta cinque capitoli – l’ultimo dei quali è Absolution. La nuova trilogia, avviata nel 2016 con Hitman si distingue per una struttura inedita a episodi, che è stata causa del divorzio tra Io-Interactive e Square Enix.

Oltre a questi abbiamo avuto modo di vedere, negli anni, due spin-off (il puzzle Hitman: Go e lo sparatutto Hitman: Shooter), due libri (Enemy Within e Damnation), e ben due film: Hitman (2007) e Hitman: Agent 47, che su Rotten Tomatoes possono vantare, rispettivamente, dei solidi (si fa per dire) 16% e 8%.

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