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Covid, Cnr-Arpa Lombardia: lo smog non favorisce la diffusione del virus

Lo studio, effettuato su Milano e Bergamo, rivela che non c'è correlazione tra i due fenomeni. Si era pensato a un legame per i numeri particolarmente alti dei contagi nelle Regioni del Nord

Milano, in vigore la normativa sulla movida: il popolo dell'aperitivo si "spegne"

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La nuova ordinanza sulla movida firmata dal governatore lombardo Attilio Fontana spegne gli entusiasmi di questo weekend milanese e fornisce le prime reazioni della città. Lungo i Navigli i bar sono tutti aperti, la gente continua a uscire ma i tavolini non sono pieni. Stessa scena a Porta Venezia, dove il popolo dell'aperitivo è decimato rispetto al solito e chi non ha voluto rinunciare è comunque seduto all'esterno dei locali, rispettando così uno dei passaggi fondamentali del provvedimento anti Covid. Dalle 18 tutti i bar senza servizio al tavolo devono chiudere.

Nella prima ondata della pandemia, la forte diffusione del Covid nel Nord Italia e in particolare in Lombardia aveva fatto pensare a una correlazione tra smog e virus. In realtà pare che non ci sia nessun legame, secondo una ricerca realizzata dal Cnr e dall'Arpa: particolato atmosferico e Covid-19 non interagiscono tra loro. 

A maggio in Lombardia 37 casi su cento - In effetti, i numeri del virus lasciavano intendere che qualche legame potesse esserci: nel mese di maggio in Lombardia si contavano 76.469 casi, pari al 36,9% del totale italiano, con 207.428 contagi in tutto. Ma il motivo di questa distribuzione geografica così irregolare della malattia è ancora oggetto di discussione tra la comunità scientifica. 

Studio Cnr-Arpa: l'inquinamento non c'entra - Lo studio effettuato in merito dall'Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac) sedi di Lecce e Bologna, e dall'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente-Arpa Lombardia svela però che vettore della diffusione del virus non è l'inquinamento. 

Numeri e "atmosfera" a Milano e Bergamo - Sono stati analizzati i dati degli ambienti outdoor nelle città di Milano e Bergamo, che sono state tra i focolai più rilevanti nel Nord Italia, ipotizzando che "scarsa ventilazione e stabilità  atmosferica (tipiche del periodo invernale nella Pianura Padana) e il particolato atmosferico, cioè le particelle solide o liquide di sorgenti naturali e antropiche, presenti in atmosfera in elevate concentrazioni nel periodo invernale in Lombardia, possano favorire la trasmissione in aria del contagio", spiega Daniele Contini, ricercatore di Cnr-Isac (Lecce).

I risultati delle indagini invece "mostrano concentrazioni molto basse, inferiori a una particella virale per metro cubo di aria - dice ancora Contini -. Anche ipotizzando una quota di infetti pari al 10% della popolazione, 140mila persone per Milano e 12mila per Bergamo, quindi decupla rispetto a quella attualmente rilevata (circa 1%), sarebbero necessarie, in media, 38 ore a Milano e 61 a Bergamo per inspirare una singola particella virale" che d'altra parte "può non essere sufficiente a trasmettere il contagio". Insomma, "la maggiore probabilità di trasmissione in aria del contagio, al di fuori di zone di assembramento, appare essenzialmente trascurabile". 

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