L'intervista a tgcom24

Da Venezia a Napoli il Capodanno delle vedove da Covid: "Palloncini bianchi con i nomi dei mariti per darci conforto"

A Tgcom24 Laura Mambriani, 54 anni, che ha raccolto attorno a sé 25 donne che hanno perso il proprio compagno nella prima ondata di coronavirus: "Solo insieme riusciamo a superare questo dolore. Oggi sarebbe andata diversamente"

"Solo chi l'ha passato può comprendere il nostro dolore, per superare il quale ci siamo messe insieme: oggi siamo in 26 e il gruppo ci dà la forza per andare avanti, anche durante queste Feste in cui la mancanza del proprio caro, se si può, è maggiore". Laura Mambriani, 54 anni di Sesto San Giovanni (Milano), racconta a Tgcom24, come l'idea di ritrovarsi con quante, come lei, nella prima ondata di Covid-19, hanno perso il marito ("Oggi sarebbe andata diversamente", afferma), sia fondamentale per continuare a vivere. "Alla mezzanotte del 31 dicembre, - riferisce - da Lodi, Venezia e Napoli, abbiamo fatto volare bouquet di palloncini bianchi con i nomi dei nostri mariti scomparsi per coronavirus, tutti allo stesso modo. E' stato un momento di ricordo proprio con quello che è diventato il simbolo delle 'vedove da Covid': il palloncino bianco".

Com'è nata l'iniziativa della notte di Capodanno?

"Ogni tanto qualcuna di noi fa volare palloncini bianchi per poter in qualche modo raggiungere con il pensiero i nostri mariti che non ci sono più. Da qui l'idea di farlo con tutti i palloncini insieme nell'ultima notte del 2020".

Com'è nato il suo gruppo delle vedove da Covid?
"Ognuna di noi fa parte del gruppo Noi Denunceremo dei familiari di vittime di coronavirus che cercano verità giustizia. Mi ero accorta, leggendo le varie esperienze, che tante donne come me si ritrovavano sole con figli e ho pensato che mettersi insieme per condividere la propria esperienza ci avrebbe potuto aiutare. Così oggi siamo in 26, sparse in tutta Italia, tra i 50 e i 75 anni. Tra noi anche due giovanissime trentenni che hanno perso i loro coniugi, loro coetanei, rimanendo sole con bimbi piccolissimi. Sono le più disperate e cerchiamo di dare loro più conforto possibile".

 

In che modo?
"Ci sentiamo quotidianamente, praticamente dalla mattina alla sera. E ci facciamo compagnia anche di notte, quando non riusciamo a dormire. Ci capiamo fino in fondo nello stesso dolore, ci raccontiamo anche cose che in famiglia è difficile dire per non rinnovare il dolore. E insieme abbiamo superato la fase del mutismo sulla tragedia che si è abbattuta su di noi, insieme elaboriamo il lutto. Parliamo tanto, ci videochiamiamo, ci scambiamo ricette di cucina, programmiamo vacanze insieme per la prossima estate, sicuramente ci incontreremo di persona appena possibile. E' come se ci conoscessimo da sempre, siamo legate da profonda amicizia".

Cosa vi accomuna?
"Tutto. I nostri mariti sono andati via allo stesso modo durante la prima ondata, portati via dall'ambulanza quando ormai non c'era più niente da fare perché li hanno ricoverati solo all'ultimo, dopo settimane di inutili cure a casa e di nostre pressanti richieste di soccorso. Noi eravamo tutte fiduciose di rivederli dopo il ricovero, invece sono stati intubati e chi dopo 2 giorni, chi dopo 15, come nel caso di mio marito Danilo Bassani, fiorista di 58 anni senza patologie pregresse, sono morti. Così, dopo averli visti andar via sulle loro gambe, sono tornati, settimane o mesi dopo, dentro un'urna cineraria. Anche noi ci siamo tutte ammalate di coronavirus, ma in forma leggera. E ora siamo rimaste sole con i nostri figli, spesso piccoli; qualcuna senza lavoro, qualcuna senza più casa. L'una per l'altra siamo uno sfogo e allo stesso tempo un sostegno".

Ha mai pensato che, se suo marito si fosse ammalato oggi, sarebbe andata diversamente?
"Sì, sarebbe andata diversamente. Perché a marzo non c'era un protocollo per curare la malattia. I pazienti erano tutti lasciati a casa con tachipirina e antibiotico fino a che non hanno perso l'ossigenazione fino ad aggravarsi irrimediabilmente. A ottobre si è ammalato il fratello di mio marito e da vicino ho visto la diversità di trattamento nelle cure: dopo tre giorni di febbre era in ospedale. Nella prima ondata anche i medici erano allo sbando e non per loro colpa. Per questo seguiremo l'iter legale di Noi Denunceremo".