Il governo Casalino-Arcuri, i giganti Covid
L'editoriale del Direttore del Tgcom24 Paolo Liguori, in edicola su Il Giornale di domenica
Come nelle guerre, la preoccupazione e la tensione portano in evidenza i danni più diretti e i cosiddetti danni collaterali, anche nel caso del Covid siamo da quasi un anno sulle vittime, sugli ammalati, sulle strutture sanitarie insufficienti. Ma anche sulla crisi economica, sulla disoccupazione, la cassa integrazione, le attività interrotte, la scuola che non c'è. Il racconto di guerra non è costruito solo su errori e tragedie: ci sono personaggi che crescono nelle pieghe del dramma e spuntano sul palcoscenico ingranditi, rispetto al ruolo precedente. Sono i Giganti del Covid dei quali vorrei occuparmi, che sono andati molto al di là del loro ruolo istituzionale ed hanno costruito un profilo ed una carriera destinati a durare oltre la cronaca.
Tralascio i fin troppo numerosi scienziati che, in questi mesi, sono passati dagli italiani malati a quelli sani, dai luoghi di cura, ai salotti e tinelli. Hanno guadagnato popolarità, ma il loro ruolo non sarà eterno, perché l'informazione toglie nel tempo quello che regala nel tempo e conterà, alla fine, solo chi avrà portato il vaccino giusto oppure, al massimo, chi racconterà la vera origine del virus.
I Giganti del Covid che vorrei citare sono due persone che in questa crisi sono andate ben oltre il ruolo istituzionale ed hanno avuto successo proprio per questo: Domenico Arcuri e Rocco Casalino. Completamente diversi tra loro - non si potrebbero immaginare due storie personali tanto distanti -, hanno in comune la forza delle circostanze che ha messo nelle loro mani la comunicazione agli italiani nel momento più delicato da molti anni a questa parte.
Rocco Casalino decide tempi e modi della comunicazione del governo che finisce sui mezzi di informazione: non solo i dpcm, ma anche, attraverso le scelte degli orari, la «scaletta» dei principali telegiornali e delle reti televisive del nostro Paese. Non è più un semplice portavoce, è una specie di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, senza titolo, né giuramenti alla Costituzione.
Domenico Arcuri è amministratore delegato di una società pubblica - Invitalia - di medie dimensioni e importanza; nell'emergenza Covid diventa Commissario straordinario sulle macerie di una struttura di Protezione Civile e un Comitato di saggi a tempo, in contatto diretto con il presidente Conte e il ministro della Salute Speranza. Ruolo importante - un uomo solo al comando -, ma anche scomodo; infatti l'informazione, che non solleva un problema istituzionale, cerca di aggrapparsi a qualche scandaletto per offuscare un potere reale. Le mascherine, ad esempio, anche se la Procura di Roma, in modo del tutto inconsueto, come si fa per le cariche istituzionali, precisa, ad indagine in corso, i nomi degli indagati, escludendo decisamente quello del Commissario.
Dunque, Arcuri decide e Casalino comunica ai giornalisti il modo più corretto di informare e suggerisce a Conte i tempi e le modalità. Abusi di potere, indebita estensione delle funzioni? Assolutamente no, nessuno pone un problema. Il Paese è affidato alle loro mani, soprattutto per una fuga dalle responsabilità fin troppo esplicita. Per quanto riguarda il ruolo politico, c'è una generale convergenza della maggioranza ad evitare le trappole e le contraddizioni in agguato in Parlamento. Conte aggira gli ostacoli con i dpcm e rimanda ogni decisione ad un Comitato tecnico scientifico che, a sua volta, trova in Arcuri un interprete perfetto. Lui annuncia lo stato delle terapie, la giusta interpretazione dei dati, che girano su una serie di parametri diversi, per evitare una lettura trasparente.
E poi c'è il conflitto con le Regioni, che ha bisogno di una mediazione che consenta a tutti di scaricare le responsabilità sugli altri. Si chiude? Forse, vedremo. Ci sarà un problema con i vaccini? È prevedibile: ecco che il Commissario è la persona giusta per assumersi in prima persona la responsabilità e lui annuncia, con lungimiranza, che tutto sarà affidato all'Esercito, ultima istituzione di cui ci si può fidare e, in aggiunta, che non può scansare le responsabilità. Gli altri annuiscono, anche quando è il commissario, prima del ministro, ad annunciare il reclutamento dell'indispensabile personale medico e infermieristico. Tempestivo, sovraesposto, coraggioso, piaccia o no è una figura creata dall'emergenza che sta svolgendo una supplenza istituzionale impensabile.
Per Rocco Casalino, le responsabilità non sono minori. Deve gestire la turbolenza tra il governo e le Regioni, il Parlamento e, dentro la maggioranza, non ha colonne abbastanza solide alle quali delegare il compito di dettare la comunicazione. Il Pd oscilla e non vuole levare le castagne dal fuoco a Conte, nei 5 Stelle c'è grande turbolenza. Rocco segnala, corregge, usa i suoi rapporti con l'informazione, blandisce, alla fine minaccia meno di quanto non abbiano dovuto fare altri suoi predecessori, o almeno l'informazione si lamenta meno. Un suo piccolo capolavoro - se così si può dire - è la gestione dell'avventura della app «IO», che non funziona per giorni e - quando adesso funziona - non garantisce i rimborsi a tutti.
Casalino ha certamente il merito di aver introdotto nell'amministrazione vetusta elementi digitali, se l'app non funziona - suggerisce - alla fine ce la farà, perché è una novità, se i soldi non bastano, daranno solo quelli delle Feste e gli altri nel 2021. Intanto concentra l'attenzione su «IO», che gli italiani (più attenti alla mancetta che alla salute) scaricano con più gusto e velocità di Immuni, anche se consegnano molti più dati personali.
Che dire? Complimenti a Rocco, che la sa lunga, i complimenti ad Arcuri li ha già fatti il governo, che gli ha intestato la maggioranza pubblica del colosso d'acciaio Ilva. Premio o avventura rischiosa? Si vedrà, anche i Krupp sono diventati potenti grazie a una guerra. Indro Montanelli insegnava che, se scrivi di una persona e vuoi farti leggere, devi parlare dei suoi difetti, ma i due Giganti sono lì, sotto i nostri occhi. Resta la domanda: non saranno come Gulliver e noi un Paese di lillipuziani?
Paolo Liguori
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