SE NE VA UN SIMBOLO

Ci mancherai Paolo Rossi, primo super-eroe calcistico di una intera generazione

Uomo prima che calciatore, Paolo Rossi è diventato un simbolo perché ha unito un Paese. Unici il suo modo di esultare e la sua voglia di sorridere sempre.

di Sauro Legramandi

© Ansa

di Sauro Legramandi
Per una generazione, Paolo Rossi è stato il primo super-eroe del calcio. E’  il primo di una lunga serie di campioni nei quali si è immedesimato chiunque abbia avuto la fortuna di giocare a pallone in strada, nel cortile della scuola, all’oratorio o dovunque ci fosse spazio sufficiente . Dopo di lui ne sono venuti tanti, tantissimi, di sicuro calcisticamente più forti e vincenti. Ma Paolo Rossi era Paolo Rossi. Un simbolo perché era riuscito a tornare nell’Olimpo dopo essere stato nella polvere del calcioscommesse. Un simbolo perché amato da tutti a prescindere dal tifo.
 

Pensi a Paolo Rossi e ti viene in mente il Lanerossi Vicenza, il Perugia, Giussy Farina e Boniperti che se lo riprese alla Juve e gli fece giocare qualche partita a fine campionato. Giusto il tempo di farlo vedere al mondo e farlo convocare da Enzo Bearzot per il Mundial spagnolo dopo quello argentino. Era l’estate del 1982 e quell’Italia, nonostante venisse da un insperato quarto posto ai mondiali in Argentina, sembrava destinata ad affondare presto a Vigo. Bearzot puntò caparbiamente sul gruppo e su Paolo Rossi. E lui ripagò la fiducia. Il 5 luglio 1982 allo stadio Sarrià di Barcellona Paolo Rossi diventò Pablito, un battesimo che ne avrebbe segnato per sempre la vita. In Italia e nel mondo. La tripletta al malcapitato portiere carioca Valdir Peres divenne il bigino del Pablito giocatore: un colpo di testa preciso, una palla rubata e infilata a tutta velocità e una deviazione sottoporta. I gol di rapina, i gol "alla Paolo Rossi":

Era così Pablito: intelligente dentro e fuori dal campo e sempre al posto giusto nel momento giusto in area. Mandò a casa Zico prima e Maradona poi, unendo l’Italia del pallone davanti alla telecronache di Nando Martellini. Dopo la doppietta in semifinale con la Polonia, in finale non poteva non perdere l’appuntamento con il gol. Lo sapevamo tutti. E noi, grazie a lui, in giro a festeggiare l’Italia campione del mondo, evento che a tante generazioni non è mai accaduto e alla nostra generazione è successo per ben due volte.

Pablito non ha avuto una carriera lunga. Le ginocchia fragili lo hanno fermato poco dopo i trent’anni. Ma per il calcio era già un'icona. Il suo sorriso dopo ogni gol, il suo modo di correre e quelle braccia alzate sono riconoscibili anche tra migliaia di fotogrammi. Il suo stile e la sua intelligenza gli hanno permesso di diventare un opinionista televisivo stimato e ben voluto da tutti. E in Italia non è davvero poco.

Ci mancherai Pablito. Quante volte, incrociandoti nei corridoi di Cologno Monzese, avrei voluto dirti "grazie" ma non ce l'ho fatta. Del resto, eri un super-eroe.