"Se il governo supera questa fase arriviamo al 2050". Così una fonte di primo piano della maggioranza descrive la corsa a ostacoli che attende Giuseppe Conte. Il 9 dicembre la risoluzione sul Mes sarà il primo, cruciale guado del governo, con l'ombra del "no" dei frondisti M5s. C'è inoltre il nodo del Recovery Fund e di quella task force che Matteo Renzi, scottato dalle resistenze del premier al rimpasto, ha tutta l'intenzione di non avallare.
Dopo la Camera, sarà la volta del Consiglio Ue, dove oltre al difficile negoziato con Polonia e Ungheria, il premier dovrà vedersela con chi, a Bruxelles, comincia a far filtrare una qualche preoccupazione sulla tenuta dell'esecutivo.
La maggioranza al Senato - I numeri, in effetti, non sono disperati neanche al Senato. La maggioranza balla tra 166 e 168, con l'incognita di Forza Italia dove più di un parlamentare potrebbe disobbedire all'ordine di scuderia del "no" al Mes e sganciarsi dall'asse Lega-Fratelli d'Italia. Le defezioni del M5s ci saranno, ma non saranno copiose. E forse, più che al voto contrario, i frondisti si appelleranno all'escamotage dell'assenza.
Pazienza al limite tra i 5 Stelle - Anche perché, nei vertici, la pazienza è al limite. "Quando si dice che mercoledì non è in ballo il governo Conte, quando si dice che si può andare in sede europea a obbligare a fermare tutti, che su questo argomento non c'è stato confronto, è tutto inutile", spiega una fonte parlamentare di primo piano del Movimento.
La congiunta notturna ha lasciato più di uno strascico. E nel mirino dell'ala governista sono finiti, in particolare, i senatori Nicola Morra, Orietta Vanin e Bianca Laura Granato oltre ai "descamisados" della Camera, con in testa Maniero e Raduzzi. L'impressione è che, chi mercoledì voterà contro, un minuto dopo sarà fuori dal M5s. E Luigi Di Maio è in pieno asse con il premier: "Basta con le polemiche".
"Risoluzione unitaria" - La chiave per risolvere il sudoku del sì del Parlamento alla riforma del Mes è la "risoluzione unitaria" di M5s, Pd, Italia Viva e LeU. Ogni parola sarà pesata al dettaglia e sarà probabile oggetto di lunghe contese tra gli alleati. Il Movimento, per placare l'ira dei dissidenti, avrebbe mirato a mettere nero su bianco il "no" all'attivazione del Mes, ma né il Pd né Italia Viva lo permetteranno.
L'ultimatum di Delrio - "Le alleanze si fanno per raggiungere degli obiettivi. Il Pd c'è se gli obiettivi sono chiari e si lavora per centrarli: l'europeismo per noi è irrinunciabile". Lo ha detto a La Repubblica il capogruppo Pd, Graziano Delrio, lanciando un "ultimatum" a Giuseppe Conte in vista del voto sulla riforma del Mes. "Abbiamo trattato un anno con l'Europa per giungere a questa stesura della riforma. Se poi in Italia non l'approviamo, perderemo la nostra credibilità".
Il "no" di Conte al rimpasto è in realtà al tempo stesso duro ("è una formula che andrebbe esiliata dalla politica") ma non assoluto. Il premier vuole che chi ambisce al rimpasto esca allo scoperto. "Se una forza dovesse ravvisare l'opportunità di migliorare la sua squadra, questo sarebbe un altro discorso", spiega. Del tema, prima o poi se ne parlerà. Magari già al vertice tra Conte e i quattro leader chiamato, nei prossimi giorni, a dirimere lo stallo dei tavoli di maggioranza su riforme.
La cabina di regia sul Recovery - Nel frattempo, il gioco del rimpasto si potrebbe trasferire nella cabina di regia sul Recovery Fund che, salvo colpi di scena, lunedì sarà varata dal Cdm. Conte non ufficializzerà i nomi dei sei top manager per monitorare i progetti del Recovery. Sa che su quei nomi si concentrerà l"ennesima battaglia di posizione tra gli alleati. Ma sulla cabina di regia non cambia idea, nonostante la contrarietà di Italia Viva.
Occhi puntati sull'Italia - "I ministri non saranno espropriati della loro funzione di indirizzo", ribadisce il presidente del Consiglio preoccupato, soprattutto, del rischio stallo sul Recovery. Anche perché i fari di Bruxelles, e del Colle, sono più che mai accesi sul governo. "L'Italia gioca col fuoco", si legge sul Die Welt. Dando, forse, eco ai primi segnali di preoccupazione che si respirano a Berlino sul governo Conte II.