la morte del pibe de oro

Maradona contro tutti: quando sfidava e batteva il Milan di Sacchi

Era una Serie A con tutti i migliori giocatori del mondo e Diego portò il Napoli alla vittoria come nessuno aveva fatto prima. Epiche le sfide contro i rossoneri

di Andrea Saronni

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Non c’è videogame, neanche il più moderno e sofisticato, che possa eguagliare quello che due o tre generazioni di tifosi mixate sugli spalti italiani ha potuto vedere nella realtà. Se la Serie A resiste nella testa dei calciofili di tutto il mondo come qualcosa di grande, molto è dovuto a quegli incredibili campionati di fine anni 80 e primissimi 90 in cui nei nostri stadi, tutti sfidavano Diego e Diego sfidava tutti. Maradona, il Re, il più grande, non ci sono discussioni di sorta. In un grande Napoli. Intorno a loro, davanti a loro alla domenica si sono palesati tutti: Platini e Rummenigge, Zico e Cerezo, e poi i grandi italiani, e ancora Matthaeus, Voeller. E ovviamente loro, gli olandesi del Milan di Sacchi, la squadra che più di ogni altra è stata il contraltare di Re Diego.

Almeno tre stagioni di partite – dal 1987 al 1990 - che pesavano piombo e producevano oro, uno scontro totale sul campo, schiaffi presi e dati, a 90.o Minuto Luigi Necco salutava dopo il servizio sul big match mostrando quattro dita e al ritorno il finto compassato Gianni Vasino si ricordava di congedarsi mostrandone tre. Formidabili quegli anni, formidabili quei Napoli-Milan e Milan-Napoli che hanno deciso almeno due campionati, alla fine spartiti a metà con finali da film, e inevitabili scie velenose in cui, ovviamente, si crogiuolava El Diez, persino quando a uscire con le ossa rotte era lui.

Faceva parte del suo romanzo, il Milan, rispettato e odiato, provocato ed elogiato. E spesso punito. La prima volta a San Siro, 1985, non andò bene, ma era un Napoli ancora imberbe, da costruire. Gioiello senza corona, all’epoca. Già l’anno dopo, con Silvio Berlusconi appena insediato alla guida, San Siro vide il portiere Terraneo raccogliere due palloni nella propria rete partiti dallo stesso piede. E quello ancora seguente, a Napoli, Maradona cucì fino al penultimo punto il primo meraviglioso Scudetto realizzando al Diavolo un gol irreale, uno dei più belli, se è possibile farsi largo tra i gol belli del Pibe: Paolo Maldini e i due Galli lasciati come panni appesi con una straordinaria combo di controllo, dribbling e tiro senza che la palla toccasse terra.

Poi, ecco il Milan olandese. E quello spiritato tecnico a guidarlo. Il Napoli Campione che è incrinato dentro, prova a resistere alla rimonta del nuovo rossonero che avanza, ma prende due scoppole, la seconda delle quali decisive: il famoso 3-2 del sorpasso tricolore – 1. Maggio 1988 – è nel gioco, sul campo molto superiore al più roboante 4-1 con il quale il Milan si impose all’andata, iniziando di fatto la sua rincorsa vincente. Il leader maximo Diego sapeva bene che ci sarebbe voluto un miracolo, per resistere. Prima i proclami, qualcuno ricorderà: “Il San Paolo sarà la loro tomba. Non voglio vedere neanche una bandiera rossonera”. E più pragmaticamente con la solita punizione nel sette che diede ancora fiato a un minimo di speranza, il parziale 1-1.

Presi dal Sacchismo e abbagliati dallo scrigno del nuovo calcio, molti sentenziarono che non poteva essere che così: una squadra comunque di altissimo livello tecnico che grazie all’organizzazione e al dinamismo non può che schiacciare quella altrettanto forte, ma che viveva al servizio e grazie a un singolo, che poteva pure essere il più forte del Mondo, ma non bastava, contro quei nuovi marziani a strisce. Diego se ne è ricordato nel novembre seguente, quando praticamente da solo fece a pezzi Sacchi, Franco Baresi, il fuorigioco, gli olandesi: epocale 4-1, buono anche per aggiungere un altro quadro alla galleria dei capolavori. Un gol di testa da oltre 30 metri, con i giri del pallone calcolati mentre tutta la difesa milanista, portiere compreso, vagavano smarriti alla ricerca di un offside che non c’era. Diego non mancò di buttare fuori il petto, nel dopopartita. Se sei capo, e capopopolo, lo devi fare, sempre, nella buona e nella cattiva sorte: e allora vai con Berlusconi, vai con il Nord che nonostante il suo potere viene a Napoli e perde.

Dietro la facciata, in realtà, il Milan lo ammirava, ed essendo uno di campo e di spogliatoio, ammirava ancora di più certi suoi protagonisti: il suo omologo Franco Baresi, con la maglia del quale addosso si fece intervistare , definendolo “un grandissimo giocatore”, e ancora Van Basten. Quando dovette mollare il pallone, Maradona si limitò semplicemente a dire che “si vede che Dio non aveva più voglia di vedere bei gol”. Però va da sé che quando mettevano piede a Milano, lui e i suoi compagni, ne sentivano di orribili, dagli spalti: poi però la partita iniziata, e la paura fottuta che attraversava le gradinate quando la palla finiva al Diez, era tangibile, e misurabile attraverso gli insulti. Nel 1989/90, la scena madre: il solito botta e risposta tra Napoli e Milano, 3-0 dato e restituito, e poi un lungo e tagliente duello finito bene per gli Azzurri, male per il Milan e per tutto l’ambiente, travolto da un’ondata di arsenico con pochi precedenti nella storia.

La monetina di Alemao, il crollo finale del Milan a Verona con quattro espulsi – Sacchi compreso – e un altro Lo Bello che finiva sul libro nero dei nemici della causa rossonera. La vendetta è un piatto freddo, e a due anni di distanza da quel 1. Maggio 1988, Diego era riuscito a prendersela, appena in tempo. Prima di soccombere, dall’autunno seguente, a un diavolo molto peggiore, per lui imbattibile: la dipendenza, la droga, l’impossibilità di reggere ancora il peso di essere Maradona, a Napoli, a Buenos Aires, in qualsiasi angolo del mondo. L’ultima partita giocata dal Napoli con Diego in vita è stata contro il Milan, capolista dopo una vita: e per la squadra più amata, c’era la possibilità di un aggancio in vetta alla classifica. Come a quei tempi. Forse, anzi, quasi certamente, non ha avuto la possibilità di vedere, e nemmeno di pensarci. Ha vinto il “nemico”, ma poco importa: conta che almeno agli innamorati di quelle maglie – e non solo, forse – si siano riaperte delle porte della memoria, che ci sia stata un’evocazione, un rewind di momenti di passione vissuti lì, su gradinate piene e non deserte, vicino a una radio, aspettando la televisione della domenica sera. E’ stata una fortuna, grande, esserci, Diego: e tutti sanno che è stato soprattutto grazie a te.

Andrea Saronni