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Maradona e Fidel Castro, due amici uniti anche nella morte | Il rapporto del campione "rivoluzionario" con la politica

Tra il Líder Máximo e "El Pibe de Oro" nacque una profonda amicizia fatta passione politica e amore per lo sport. Ma l'asso argentino strinse rapporti anche con altri leader latini, come Chavez e Maduro

di Maurizio Perriello

© Afp

Oltre che di George Best, Diego Armando Maradona è morto anche nello stesso giorno, a quattro anni di distanza, di colui che considerava come un "secondo padre": Fidel Castro. Con il rivoluzionario cubano aveva intessuto un rapporto stretto, caratterizzato da ammirazione reciproca in uno strano intreccio tra passione politica e amore per lo sport. Era il 1987 quando "El Pibe de Oro" si recò per la prima volta nell'isola, ospite del Líder Máximo. Oltre a essere stato un calciatore meraviglioso, Maradona non ha mai nascosto le sue idee politiche, che si sono palesate in legami con i leader carismatici dell’America Latina e non solo.

Negli anni della dipendenza dalla cocaina, poi, fu proprio a Cuba che l'asso argentino soggiornò per disintossicarsi e l'amicizia divenne sempre più stretta. "E' il più grande della storia", disse Diego di Fidel. "Sei il Che Guevara dello sport", ribatté il leader per il quale lo sport era un "diritto del popolo". E Maradona lo prese in parola, facendosi tatuare sulla spalla e sul polpaccio l'immagine dei due eroi della Rivoluzione del '59.

A partire da quel gol segnato con "la mano de Dios" agli inglesi duranti i Mondiali di Messico '86, Diego Armando Maradona ha trasferito sull'erba del campo da gioco anche la sua passione politica. Attraverso quel gesto astuto e irriverente, il campione ha punito un Impero che, quattro anni prima, aveva invaso le isole Falkland-Malvinas, uccidendo centinaia di giovani argentini. Il "tocco" beffardo, decisivo per l'eliminazione degli inglesi dal torneo, era dunque l'atto principe di una lotta politica al potere imperialista del Regno Unito e dei suoi alleati.

Il mito e le gesta di Maradona, considerato il calciatore più grande di tutti i tempi, hanno travalicato qualsiasi confine. Ma è nel seno del suo Sudamerica che il fuoriclasse ha trovato maggiori comunanze di intenti sul piano politico. Ne sono una decisiva testimonianza le amicizie strette con altri due grandi leader latini: Hugo Chavez e Nicolas Maduro.

Chavez e Fidel, in particolare, hanno investito Maradona del titolo di loro "erede" politico, che attraverso il linguaggio universale del pallone avrebbe potuto eportare la rivoluzione contro il capitalismo in tutto il mondo. Compito che il campione ha cercato di portare avanti anche con le parole Nella sua autobiografia Io sono El Diego, il mago del calcio parla del pensiero di Marx e dei grandi comunisti dell’America Latina.

E' però dopo l'addio al calcio che Maradona si impone come militante attivo. Si dichiara "soldato" dei leader brasiliani Dilma e Lula e sostiene Daniel Ortega in Nicaragua, che lo ha insignito dell’Ordine Sandinista. Fu sodale anche di Evo Morales, capo di Stato della Bolivia e anch’egli rivoluzionario, col quale giocò anche una partita di calcio con alcuni amici, tra cui Ahmadinejad. A quest'ultimo Maradona aveva poi regalato la sua maglia numero 10, suscitando ampie polemiche. Non era certo un segreto la simpatia dell'argentino nei confronti dell'impostazione anti-americana dell’ex presidente dell’Iran.

Infine Diego Armando Maradona strinse un bel sodalizio politico anche con Pepe Mujica, il presidente uruguagio che si è tagliato lo stipendio vivendo in maniera "proletaria", e con Rafael Correa, ex presidente dell’Ecuador.