Essere studenti nel 2020? Per quasi 1 su 2 è un “incubo”
Che cosa vuol dire studiare nel 2020, l’anno della pandemia? Hanno risposto 3mila ragazzi di scuole superiori e università in occasione della Giornata internazionale dedicata a loro
Una sorta di tempo sospeso, vissuto tra la speranza di tornare presto alle vecchie abitudini e la paura per quello che riserverà il domani. Il 2020 è stato un anno psicologicamente complicato per tutto il Paese. Ma per i ragazzi lo è stato ancora di più: il distanziamento sociale ha stravolto la quotidianità, la didattica a distanza li ha rallentati nella formazione personale, la crisi economica ha perlomeno sbiadito i loro sogni. Circa 8 studenti su 10 temono di di dover rivedere i propri progetti per il futuro: la maggior parte spera ancora di realizzarli, una buona fetta (circa 1 su 4) già sta gettando la spugna; solo per 1 su 5 le cose torneranno al loro posto rapidamente. A far emergere questo preoccupante quadro è un sondaggio effettuato dal portale Skuola.net che ha intervistato 3mila giovani di scuole superiori e università, in occasione della Giornata Internazionale degli Studenti 2020.
La vita stravolta dalla pandemia
Come detto, gli ultimi nove mesi sono stati devastanti; specie dal punto di vista mentale. Quasi 1 su 2, infatti, sta passando un periodo molto difficile e afferma che la sua esistenza è stata letteralmente stravolta. Appena 1 su 10 sostiene che non sia cambiato granché nel suo approccio alla vita. Gli altri, seppur tra mille difficoltà, hanno comunque tentato di andare avanti non facendosi condizionare dal virus. A generare un atteggiamento del genere è stato soprattutto quanto accaduto alla scuola. A parte qualche settimana di lezioni in presenza, quasi tutto l'anno si è svolto online. Una assoluta novità che per circa 1 su 3 si è tradotta nella perdita di ogni punto di riferimento. Anche se c'è qualcuno, specialmente tra gli universitari, che ritiene che questa 'prova' lo renderà più forte e capace di affrontare le difficoltà della vita.
La seconda ondata? Il colpo di grazia
Ma è fuor di dubbio che la didattica a distanza non sia stata una cosa facile da digerire. Focalizzando l'attenzione sugli studenti più piccoli (quelli delle superiori) il dato è ancora più evidente: il 18% sin dallo scorso inverno sta vivendo malissimo il fatto di non poter andare fisicamente a scuola e un altro 36%, mentre durante il lockdown aveva fatto buon viso a cattivo gioco, con l'avvio della seconda tornata di dad si è rassegnato al peggio. Meno della metà, alla fine, si sta abituando alle lezioni da casa (con un 10% che addirittura ora preferisce questa modalità alla scuola in presenza). In parte, però, se lo aspettavano che potesse accadere di nuovo: il 55% aveva immaginato che le classi richiudessero molto presto (il 14% pensava che non riaprissero affatto), mentre il 28% temeva sì lo stop ma in inverno inoltrato; quasi nessuno (3%) avrebbe scommesso su un anno scolastico tutto in presenza.
Era meglio se le scuole non avessero chiuso
Una situazione che è dovuta soprattutto alla gestione dell'emergenza sanitaria. Ma il fatto che la chiusura delle scuole sia stata determinata in larga parte da ragioni esterne agli istituti (questione trasporti, assembramenti agli ingressi, ecc.) porta i ragazzi ad essere lo stesso arrabbiati con gli 'adulti' per come hanno affrontato gli eventi: per il 20% le istituzioni avrebbero potuto fare di più fin dall’inizio, per un altro 50% le colpe vanno circoscritte alla seconda ondata. Per questo in tantissimi appoggiano le proteste contro la DaD che stanno andando in scena in questi giorni: per l'11% sono sempre legittime, per spingere al ritorno in classe; per il 43% sono giustificabili solo in quei casi in cui non tutti gli studenti hanno le stesse opportunità per collegarsi online.
Trascurati dalle istituzioni
Una piccola crociata in cui i ragazzi delle superiori trovano l'appoggio dei colleghi più grandi. Anzi, lo spirito degli universitari è ancora più battagliero: 3 su 4 si sono sentiti trascurati dalle istituzioni (per il 28% ci si è concentrati solo sulla scuola, il 47% pur riconoscendo che la scuola aveva più criticità avrebbe gradito maggior attenzione). E per una quota simile, non aver potuto frequentare l'università per così a lungo gli potrebbe aver precluso tante opportunità, sia per fare nuove conoscenze sia in ottica lavorativa.
Cosa manca di più agli studenti?
Il sondaggio, però, è stata anche l'occasione per far parlare i ragazzi, per far loro esternare le proprie sensazioni, per capire cosa gli manca di più della loro vita da studente prima dell'arrivo del Covid. Tutto, o quasi, ruota attorno alla semplice quotidianità: fino a febbraio era data per scontata, oggi è diventata un grande vuoto. C'è chi rimpiange “l'intervallo tutti assieme”, chi “i ritmi di vita normali”, chi “i pomeriggi di studio con gli amici”, chi “gli scherzi e le litigate con i compagni”, chi persino “il tempo trascorso sui mezzi pubblici” e “l'ingresso dei prof in classe”. In fondo, i rapporti umani sono quelli che più di ogni altra cosa mancano: per il 19% la DaD ha deteriorato inesorabilmente i rapporti con il resto della classe, per il 53% li ha almeno raffreddati.
Voglia di normalità
Ma il pensiero che racchiude tutto è quello di una ragazza, disarmante nella sua semplicità ma quantomai vero: “Mi manca non avere più il mio compagno di banco, poi stare fuori in cortile tutti insieme senza preoccupazioni sulle distanze di sicurezza, prestarci di tutto, dalle penne ai libri, andare a pranzare in gruppo, aspettare con ansia l'inizio dei colloqui con i genitori, le assemblee di classe e d'istituto, fare colazione al bar alle 7 di mattina, andare in bagno in due o alle macchinette, abbracciarsi tutti i giorni quando ci si incontrava, parlare dei fatti nostri quando ci si annoiava a lezione, i lavori di gruppo, le gite, le notti in bianco in hotel, andare ai centri commerciali quando uscivamo prima da scuola, la settimana dello studente, la tombola prima delle vacanze di Natale, passarsi i bigliettini per copiare o per parlare di cose a caso e molto molto altro”.
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