'Ndrangheta, il boss Maurizio Cortese ha deciso di collaborare con la giustizia
Reggente della potente cosca Serraino, era stato condannato in via definitiva nel processo "Epilogo" dopo un periodo di latitanza
Il boss Maurizio Cortese, indicato dagli investigatori come il reggente della cosca Serraino, tra le più potenti della 'ndrangheta, ha iniziato a collaborare con la giustizia. I suoi verbali sono stati depositati in un'udienza legata all'operazione "Pedigree" nell'ambito della quale, a luglio, il gip aveva emesso un'ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti dello stesso Cortese. Il capoclan ha ora deciso di parlare.
Inchiesta "Pedigree" - Il boss è così stato interrogato dal sostituto procuratore della Dda Stefano Musolino che, insieme con il procuratore Giovanni Bombardieri e con i pm Walter Ignazitto, Sara Amerio, Paola D'Ambrosio e Diego Capece Minutolo, ha coordinato l'inchiesta "Pedigree".
Arrestata anche la moglie - Nella stessa operazione era stata arrestata la moglie Stefania Pitasi, figlia del boss Paolo Pitasi e ritenuta la "portavoce" del marito nei lunghi periodi di detenzione. Attraverso i colloqui con la moglie e grazie ad alcuni cellulari fatti entrare illecitamente nel carcere di Torino, Cortese riusciva a dare indicazioni agli affiliati e gestire gli affari della cosca Serraino.
Latitante e poi condannato - Il nuovo collaboratore di giustizia è stato già condannato in via definitiva nel processo "Epilogo" e, dopo un periodo di latitanza, nel 2017 era stato catturato dalla squadra mobile e dai carabinieri. Oggi quarantenne, secondo le indagini Cortese era riuscito a scalare le gerarchie della cosca Serraino intrattenendo legami anche con gli esponenti delle altre famiglie di 'ndrangheta come i Labate detti "Ti Mangiu" e Gino Molinetti dei De Stefano-Tegano, di recente arrestato nell'ambito dell'operazione "Malefix".
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