INTERVISTA A TGCOM24

Speranza è "L'ultimo a morire": l'album di debutto del rapper è "il grido della gente di cui nessuno parla"

Linguaggio crudo e travolgente ed empatia per le persone più emarginate sono la sua forza espressiva. Il primo disco vanta collaborazioni con Gué Pequeno, Massimo Pericolo, Tedua e un duetto con il neomelodico Rocco Gitano, star della comunità sinti

di Luca Freddi

© Ufficio stampa

Brutale e rabbioso nella voce e nei testi. Autentico e credibile come rapper di strada (ma lontano dai luoghi comuni del genere). E' Ugo Scicolone aka Speranza, una vita da film (non solo perché è imparentato alla lontana con una nota Scicolone, aka Sophia Loren): mezzo francese e mezzo italiano, dopo essere nato e vissuto in una banlieu vicino a Strasburgo si è trasferito a Caserta dove accanto al lavoro di muratore in cantiere si fa conoscere dal 2018 con una serie di singoli esplosivi. "Sparalo", "Givova", "Pagnale" e "Manfredi" lo hanno imposto sulla scena rap come alternativa genuina al mainstream italiano tutto soldi e apparenza. "L'ultimo a morire" è l'atteso album d'esordio che ha raccontato a Tgcom24.

Perché solo ora un disco dopo tanti singoli caricati su YouTube e diventati virali grazie al passaparola, da "Sparalo" alle hit "Chiavt a Mammt" e "Spall a Sott"?
All'inizio non era previsto. Quando ho ricominciato a fare rap, ho registrato "Sparalo" per la gente di Caserta e Napoli. Poi la cosa si è estesa ed è andata più avanti. Dopo vari pezzi mi sono reso conto che tutto era molto più serio di quello che mi aspettavo. Prima era solo uno sfogo. Un grido. Quando ci siamo ritrovati in un ambiente più grande di noi allora lì è subentrata la concretezza che andava chiusa con un album. E' andato tutto da sé.

Cosa significa il titolo?
E' il gioco di parole proprio con Speranza. Fin da ragazzino mi piaceva questo gioco di parole e l'espressione "l'ultimo a morire" ha dato vita al mio nome d'arte e così l'ho voluto immortalare con il titolo dell'album.

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Ti sei fatto conoscere sul web con pezzi come duri e simili come "Sparalo, "Chiavatt a mamt" o "Manfredi". Invece il disco è più variegato come suoni e temi. Com'è stata questa evoluzione?
Ho inserito solo la versione 4 di "Spall a sott" che rappresenta un ponte tra il vecchio io e l'album che invece ha tante sfaccettature diverse. Ho scelto espressamente di non mettere le cose già sentite che erano un mood unico e conosciuto, perché mi piaceva fare questo piccolo salto per far capire alla gente che so fare altro. E non sono solo quello delle vecchie canzoni. Volevo fare vedere altre cose di me, i lati profondi e intimi.

I fan della prima ora sono soddisfatti di questa evoluzione?
Avevo una grande paura per questo. Ma ogni stereotipo va abbattuto a prescindere, non solo a livello musicale ma anche nella vita. Però è andata bene e sono contento che sia piaciuto.

Cosa cerchi con la musica? Per te è uno strumento? E credi che il rap debba avere un ruolo?
La musica è uno sfogo. Non solo personale ma della mia gente. Mi sento un po' portavoce, rappresentare la gente di cui nessuno parla. Voglio creare una altro tipo di rap che era andato un po' abbandonato. Mettere i piedi a terra e andare avanti. Il rap ha un ruolo. Non deve essere per forza sociale, ma deve essere giusto e non sterile.

Nel disco Speranza usa diverse lingue, italiano, dialetto casertano e francese. All'inizio rappava in francesce quando ha vissuto oltralpe. E ora continua quel legame linguistico indissolubile. A parte la multiculturalità in cui è cresciuto ha mantenuto sempre vivo l'attaccamento e la vicinanza alle persone con cui ha vissuto a stretto contatto e con cui il vincolo d'amicizia continua sempre. Usi anche dialetto rom qui, una scelta davvero unica e controcorrente: sono una minoranza su cui tutti puntano il dito...
E' perché è facile farlo. Anche loro hanno diritto alla loro voce. Per questo ho usato il loro dialetto, una lingua che esiste è non è riconosciuta. Una cosa assurda nel 2020. Uso anche parole arabe: tutte lingue di gente che frequento nel quotidiano.

A proposito di minoranze e popoli poco considerati, sul palco del Mi Ami aveva portato bandiere della Palestina, del Kosovo e dei Berberi. Nel disco ha inserito in un brano due barre vuote per le vittime di Gaza...
Non sono un rivoluzionario di certo ma l'impegno è rappresentare la mia gente. Ho parlato di Gaza perché mi dà fastidio la gente che soffre là. E della politica mi interessa ben poco. Questa volta è stata Gaza ma la prossima volta potrei rappresentare con una rima gli armeni. La gente che soffre mi tocca il cuore e mi sento di ricordarli.

E' un disco ricco di collaborazioni oltre all’eccellenza dei produttori italiani coinvolti (da Don Joe a Night Skinny e Crookers). Come hai scelto gli ospiti del disco? 
Gué Pequeno è stato uno dei primi a spingermi ed era giusto dare un lieto fine a questa storia. Ci tenevo che ci fosse. Tedua ha una sensibilità diversa, molto profonda. Un aspetto che avevo anch'io ma non avevo ancora ufficializzato. Visto che è un amico ho ottenuto di fare una cosa insieme. Con Massimo Pericolo eravamo amici da tempo al di là della musica e lui ha fatto un percorso simile al mio. Poi c'è Rocco Gitano, cantante per antonomasia di tutti i rom italiani. L'ho conosciuto, gli ho proposto il progetto e ha subito accettato e abbiamo fatto questa cosa in armonia. Poi c'è Kofs che è un rapper di Marsiglia, che come città rispetto alle altre della Francia è molto campana. In generale i featuring che ho scelto vanno al dì là della musica e sono basati sul rapporto umano che si sono creati tra noi.