oasi covid-free

Coronavirus, nella regione canadese di Nunavut il virus non è mai arrivato: ecco perché

I funzionari del posto hanno adottato misure molto severe fin da subito, vietando gli spostamenti. Inoltre, ha aiutato l'isolamento naturale della popolazione, che abita in comunità molto distanti tra loro

I casi di Covid-19 stanno aumentando in molte regioni del Canada, ma ce n’è una in cui il virus non è mai arrivato: quella del Nunavut, il territorio più settentrionale e vasto del Paese nonché una delle aree più remote e scarsamente popolate del mondo (conta circa 38mila abitanti). Alla data di oggi, infatti, non si sono registrati casi positivi al coronavirus. Come riporta la Bbc, le ragioni sarebbero da ricercarsi nelle misure adottate fin da subito dai funzionari del Nunavut e nell'isolamento naturale che contraddistingue il territorio.

Le misure adottate a marzo - Lo scorso marzo, mentre i confini di tutto il mondo venivano chiusi, i funzionari del Nunavut hanno deciso che anche loro non avrebbero corso rischi. Hanno quindi introdotto alcune delle più severe norme di viaggio in Canada, vietando l'ingresso a quasi tutti i non residenti. I residenti di ritorno, invece, prima di tornare, sono costretti a trascorrere due settimane in hotel dedicati - nelle città di Winnipeg, Yellowknife, Ottawa o Edmonton - a spese del governo e controllati da guardie. Ad oggi, poco più di 7mila nunavummiut hanno trascorso del tempo in questi centri di isolamento.

Le mascherine, inoltre, sono obbligatorie su tutto il territorio nonostante la mancanza di casi. "La decisione abbastanza drastica di introdurre queste misure è stata presa sia per la potenziale vulnerabilità della popolazione al Covid-19 che per le sfide uniche della regione artica", afferma il dottor Michael Patterson, responsabile della sanità pubblica del Nunavut. 

Gli Inuit costituiscono, infatti, oltre l'80% della popolazione del territorio. E molte comunità Inuit - nel Nunavut e altrove - sono potenzialmente a rischio per diverse ragioni. Tra queste, condizioni abitative inadeguate e non sicure e alti tassi di sovraffollamento, nonché l'elevata probabilità di contrarre la tubercolosi.

L’isolamento naturale - Le circa 38mila persone che vivono nel territorio sono suddivise in 25 comunità sparse sui suoi due milioni di chilometri quadrati. Le distanze sono "a volte sbalorditive", ammette il dottor Patterson. È quindi probabile che l'isolamento naturale sia parte della ragione della mancanza di casi.

Tuttavia, ora, rispetto a marzo, c’è stato un leggero allentamento delle misure. Ma l'attenzione è sempre alta. Il dottor Patterson, per esempio, non pensa che il Nunavut sarà privo di casi di coronavirus per sempre. "Non avrei scommesso che sarebbe rimasto Covid-free per così tanto tempo".

Le difficoltà - L'isolamento può aiutare, ma può anche creare ostacoli. La maggior parte delle comunità del Nunavut, infatti, non ha la possibilità di eseguire i tamponi localmente. Quando la possibilità c’è, i tempi per avere i risultati sono lunghi. Attualmente, sono in corso sforzi per migliorare la situazione dei test.

Nel territorio, inoltre, le risorse mediche sono limitate. L'ospedale di Iqaluit, la capitale, da 35 posti letto, potrebbe gestire circa 20 pazienti Covid-19, stima il dottor Patterson. Nel caso si verifichi un focolaio, "le persone che hanno bisogno di cure o di essere ricoverate dovranno essere trasportate in altri ospedali".