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Covid, il vicesindaco di Azzano (Bergamo): "Ricoverato a New York, avrei dovuto pagare 100mila dollari per 17 giorni"

Dopo più di sei mesi, Francesco Persico racconta il suo ricovero negli Stati Uniti, il conto salato presentato per le cure e l'hotel che lo ha costretto ad andarsene

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Otto mesi fa il vicesindaco di Azzano San Paolo, in provincia di Bergamo, veniva ricoverato in un ospedale di New York perché affetto da Covid-19. Al tempo, il virus aveva iniziato a diffondersi da poco e l'Oms non aveva ancora dichiarato la pandemia globale. "In America non erano preparati, ho aspettato mezz'ora sull'ambulanza" ha dichiarato Francesco Persico, 33 anni, che oltre al lavoro in Comune è anche un elettricista. La sua storia, raccontata al Corriere della Sera, è una fotografia dell'America all'inizio della pandemia.

Francesco Persico si trovava negli Stati Uniti per lavoro mentre a casa ad aspettarlo c'erano moglie e una bambina di tre anni. A inizio marzo i primi sintomi. "Dopo una settimana ho avuto la febbre, come per la classica influenza. Ho preso la Tachipirina. Dopo 3-4 giorni non passava, avevo capogiri e mal di testa". Improvvisamente poi la febbre passa, la domenica esce con i colleghi a vedere una partita di basket e il giorno dopo i dolori ritornano. "Dall'albergo non mi hanno voluto mandare il medico, così abbiamo chiamato il 911". 

In quel periodo New York non era ancora preparata a combattere il virus e Francesco era uno dei primi casi da curare, lui stesso si definisce il "paziente zero" di quell'ospedale. "Il personale ha allestito uno spazio lì per lì - racconta al Corriere - e poi mi hanno trasferito nel reparto di malattie infettive. Da me entravano protetti ma poi, li vedevo dal vetro, si cambiavano in corridoio. Quando il respiro ha iniziato a diventare corto mi hanno trasferito in terapia intensiva, con la maschera facciale dell'ossigeno". 

E poi, il conto più salato. "Centomila dollari di ospedale più 2.500 per gli 800 metri in ambulanza. Per fortuna, e ringrazio la mia azienda, ero assicurato, ma in quel momento il timore era forte anche a casa, con il costo di 8mila dollari al giorno in terapia intensiva". Ma non sempre l'assicurazione basta. Secondo quanto racconta, infatti, una clausola affermava che, nel caso in cui l'Oms avesse dichiarato pandemia globale, a quelle coperture avrebbe dovuto rispondere lui stesso. La sua fortuna è stata quella di venire ricoverato prima dell'annuncio, avvenuto l'11 marzo 2020.

Una volta dimesso, Francesco Persici racconta di non essere stato sottoposto a tampone né ad altri controlli: "Dovevo rimanere sette giorni in quarantena in hotel". Qua la seconda sorpresa. Il coronavirus si stava diffondendo sempre di più costringendo numerosi alberghi, ristoranti e attività varie a chiudere. Sotto la porta della stanza un bigliettino gli chiedeva di fare le valigie e andarsene e così Francesco e i suoi colleghi hanno dovuto cercare un nuovo posto dove trascorrere la settimana. Il 4 aprile è poi riuscito a rientrare a casa con un volo Alitalia per il rimpatrio dei connazionali.

"Sono riuscito a farmi fare il primo tampone il 15 aprile a Seriate, il secondo il 22 ad Albino (provincia di Bergamo, ndr). Mia moglie si era trasferita dai genitori, ho rivisto la bimba due mesi dopo". E poi conclude: "Rispetto a tante polemiche, non abbiamo nulla da imparare sulla serietà e capacità di gestire l'emergenza. Trump? Beh, alcune uscite come quella sulla candeggina... Il fastidio più grande è chi prende questo virus alla leggera, i negazionisti. Non ci sono passati, per forza. Ad Azzano in tre mesi abbiamo avuto cento morti".

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