Il sollevamento dell'ultimo impalcato e le pile del nuovo ponte Morandi che si illuminano una dietro l’altra da un fascio di luce tricolore. La costruzione, conclusa dopo 620 giorni dal crollo del viadotto sul Polcevera, diventa un esempio per le centinaia di opere pubbliche rimaste incompiute da anni in Italia. Per il premier Giuseppe Conte "il modello Genova ha funzionato". La scelta di nominare il primo cittadino Marco Bucci come commissario straordinario per la ricostruzione ha accelerato i lavori. Disegnato dall'architetto Renzo Piano, il ponte è stato ricostruito dopo circa 10 mesi dal primo getto delle fondazioni.
Così il "modello Genova" diventa motivo di ispirazione per sbloccare i cantieri aperti nella Penisola. Numeri alla mano: in Italia sono circa 750 le opere bloccate pari a oltre 60 miliardi di euro in investimenti. Nel decreto Semplificazioni, approvato tra il 6 e il 7 luglio, il Consiglio dei Ministri punta a far ripartire i lavori di alcune opere pubbliche. Dal Mose, per difendere Venezia dall’acqua alta, alla Tav destinata a collegare Torino a Lione.
Mose - La realizzazione del Mose è iniziata nel 2003 ma il termine dei lavori è stato programmato per il 31 dicembre 2021. Le quattro barriere formate da 78 paratoie mobili tra loro, in grado di separare la Laguna dal mare, servirebbero per riparare Venezia da maree alte fino a 3 metri e da un innalzamento del livello dell’acqua fino a 60 centimetri. La mattina del 3 ottobre 2020, per la prima volta, il Mose è entrato in azione ed è riuscito a proteggere Piazza San Marco durante una forte perturbazione. In un’ora e diciassette minuti le paratoie si sono alzate e dopo 40 anni hanno lasciato Venezia all’asciutto. Il livello della marea si è infatti fermato a 70 centimetri. Dopo questo primo test, restano da fare ulteriori collaudi e da stabilire le modalità di manutenzione. Il costo del progetto è pari a 5 miliardi e 493 milioni di euro, tale al prezzo fissato nel 2005.
Le opere che potrebbero ripartire a breve - Non solo il Mose: un nuovo piano di investimenti affianca il decreto legislativo Semplificazioni e il Piano nazionale di riforma. Conosciuto come “Italia veloce”, il piano del Mit ha un unico obiettivo: rilanciare l’economia sbloccando 130 opere considerate strategiche per il rinnovo del Paese. Il programma del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti equivale a 200 miliardi di euro in investimenti su porti, direttrici ferroviarie (il nodo di Genova, il Terzo Valico di Giovi, la Pontremolese e la Palermo-Catania-Messina), aeroporti, città metropolitane, strade e autostrade. Tra queste, la Pedemontana lombarda e la Salerno-Potenza-Bari. Per i lavori più complessi, il Premier Conte ha dato l’autorizzazione a “nominare commissari sulla scia di Expo e del Ponte di Genova”.
Tav - Al primo posto delle “opere prioritarie” sbloccate dal governo figura la Tav. La linea ferroviaria ad alta velocità che dovrebbe collegare Torino e Lione continua a far discutere, soprattutto dopo l’uscita del nuovo sindaco di Lione, che in un’intervista a "La Stampa" ha dichiarato: "Non bisogna insistere su un progetto sbagliato. È la scelta peggiore. Bisogna fermare la Tav". Sulla stessa lunghezza d’onda Chiara Appendino, prima cittadina di Torino, che ha sempre affermato di essere contraria all’opera. Ma i pareri negativi dei due sindaci non fermeranno i lavori, che dopo i rallentamenti dovuti al coronavirus sono ripresi a pieno regime.
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Il cantiere è gestito da Telt, società pubblica le cui quote sono divise a metà tra Italia (attraverso il gruppo Ferrovie dello Stato) e Francia. L’11 giugno la stessa Telt ha comunicato che sono stati assegnati ulteriori 250 milioni di euro per i lavori. Al momento sono state completate il 18,5% delle gallerie, cioè 30 km su un totale di 162 km. Il tratto fondamentale è il tunnel di base, la galleria adibita al passaggio dei treni. Al 2019 sono stati finiti gli scavi per i primi 9 km, tutti realizzati dal cantiere francese di Saint-Martin-La-Porte. In Italia ancora non si è svolta la gara d’appalto per la costruzione del tunnel di base, e forse proprio a tal proposito quest’ultimo è stato citato nell’allegato infrastrutture del Dl Semplificazioni.
Asti-Cuneo - Non compare invece al momento tra le opere “prioritarie” l’Asti-Cuneo, tristemente rinominata “l’autostrada lunga trent’anni”. Il collegamento tra le due città piemontesi, reduce da un passato travagliato, si conclude bruscamente dopo il fiume Tanaro. Le trattative per realizzare l’autostrada risalgono alla fine degli anni Ottanta, ma solo nel 1990 la società Satap (controllata dalla famiglia Gavio) e l’Anas stipulano il contratto per realizzarla. L’Asti-Cuneo andrebbe però a ridurre gli incassi della Torino-Savona, facendo così iniziare una serie di ricorsi e contestazioni. Seguono quindi trent’anni di lotte, dove la famiglia Gavio prima rinuncia alla realizzazione, per poi accettare nuovamente di svolgere i lavori. L’opera sarà quindi completata entro i prossimi quattro anni ed è prevista una spesa di 350 milioni d’euro.
Ponte sullo Stretto di Messina - Parlando di grandi opere, non si può non citare la più famosa, nonché mai realizzata: il Ponte sullo stretto di Messina. Il collegamento tra Calabria e Sicilia vanta un passato lunghissimo, che ha attraversato praticamente tutta la storia repubblicana. Più volte usato come argomento elettorale (a partire da Bettino Craxi, passando per Silvio Berlusconi e Matteo Renzi), il ponte è stato rispolverato da Giuseppe Conte, che nell’ambito del pacchetto Recovery Fund ha dichiarato che lo valuterà senza pregiudizi.
Negli ultimi decenni si è sempre parlato di un ponte sospeso a unica campata di 3.300 metri, che per dimensioni diventerebbe il più grande mai realizzato finora. Basti pensare che sarebbe grande il doppio del terzo ponte sul Bosforo di Istanbul, il quale al momento detiene il primato. Per questo motivo le incognite in termini di sicurezza e gestione delle emergenze sono ancora molte, per non parlare dei costi di realizzazione, non ancora quantificabili ma ai quali andrebbero aggiunti i soldi spesi nel corso degli anni nell’assegnazione di finanziamenti andati poi perduti.
Articolo realizzato in collaborazione con il master biennale in giornalismo della IULM, contenuto a cura di Virginia Nesi e Benny Procopio.