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Palermo, commercianti si ribellano al pizzo: 20 mafiosi in arresto | Boss per depistare: tatuati Falcone e Borsellino

I carabinieri, grazie alle denunce e alle intercettazioni, hanno fermato capimafia, gregari ed esattori del clan che teneva sotto scacco il quartiere di Borgo Vecchio. Cosa nostra voleva organizzare una finta campagna antimafia per i neomelodici

Racket, i boss arrestati a Palermo grazie alla denuncia dei commercianti

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Monti Angelo 
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Monti Girolamo 
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Sirchia Ignazio  
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Vullo Vincenzo 
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Zimmardi Angelo
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Canfarotta Domenico 
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Cusimano Pietro 
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D'India Marcello 
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Fortunato Antonino  
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Gambino Giuseppe
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Guarino Salvatore 
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Ingarao Danilo 
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Ingarao Gabriele 
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Ingarao Jari Massimiliano 
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Leto Filippo 
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Lo Monaco Matteo 
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Lo Vetere Giuseppe 
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Alongi Paolo 
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Bologna Giacomo Marco 
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Bronzino Giovanni 

Dopo anni di silenzio i commercianti del quartiere Borgo Vecchio di Palermo si sono ribellati al racket e hanno denunciato gli estorsori mafiosi: 20 tra boss, gregari ed esattori del clan sono stati fermati dai carabinieri. Gli indagati sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga, ai furti e alla ricettazione, tentato omicidio aggravato, estorsioni e danneggiamenti.

Le estorsioni accertate nel corso dell'indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia guidata dal Procuratore Francesco Lo Voi, sono oltre venti, tredici delle quali scoperte grazie alle denunce spontanee delle vittime. In cinque casi, invece, i commercianti hanno ammesso di pagare dopo essere stati convocati dagli inquirenti. Un risultato straordinario in un quartiere in cui la paura consente a Cosa nostra di controllare capillarmente le attività commerciali. L'indagine che ha portato ai fermi è la prosecuzione di inchieste passate sul mandamento mafioso di Porta Nuova e, in particolare, sulla famiglia mafiosa di Borgo Vecchio.

L'intercettazione: "Fatti un tatuaggio e ti scrivi Falcone e Borsellino" Dalle intercettazioni è emerso il forte legame tra cantanti neomelodici e boss mafiosi. L'indagine ha portato alla luce in particolare l'amicizia tra Niko Pandetta, celebre neomelodico palermitano, e il boss Jari Ingarao, che incontrava nonostante fosse ai domiciliari. Ingarao, oggi finito in cella, aveva incaricato alcuni uomini d'onore di invitare i commercianti del rione a sponsorizzarne un concerto. Parte dei ricavi dovevano andare nelle casse del clan. Ma l'esibizione non si tenne a causa delle parole di apprezzamento alla mafia dette in tv nel 2019 dal cantante che era solito aprire i suoi concerti dedicandoli "a chi purtroppo sta al 41-bis". In un'intercettazione Ingarao consigliava a Pandetta di usare i simboli dell'antimafia, Falcone e Borsellino, per depistare. "Gli ho detto io a lui: fatti un tatuaggio e ti scrivi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e si risolvono i problemi", afferma a un gregario il mafioso. Una ricetta che gli avrebbe consentito di superare le difficoltà legate alle sue discusse esternazioni sulla mafia.

Torna in carcere il boss scarcerato 3 anni fa Scarcerato tre anni fa, era tornato a guidare il clan. Una storia ordinaria nelle logiche mafiose, quella scoperta dai carabinieri di Palermo, che hanno fermato il boss Angelo Monti, ritenuto il reggente della "famiglia" del Borgo Vecchio. "Ti vuole conoscere una persona qua del Borgo che comanda il Borgo, un pezzo da novanta, non un pezzo di quaranta, un pezzo da novanta. Ti dico solo il nome: Angelo. Il cognome non te lo dico non è giusto". Cosè, non sapendo di essere intercettati, due dei mafiosi finiti in cella insieme al boss, parlavano di Monti. Monti fu arrestato già nel 2007 perché ritenuto al vertice della famiglia e dal 2017 era sorvegliato speciale. Scoperti anche i "colonnelli" del capomafia: il fratello, Girolamo Monti, anche lui arrestato nel 2007 e Giuseppe Gambino, già condannato per mafia, che secondo le indagini teneva la cassa della famiglia, e faceva da tramite tra i vertici e il gruppo operativo. Gli "esattori" del pizzo erano Giovanni Zimmardi, Vincenzo Vullo e Filippo Leto. Dei traffici di droga si occupavano, invece , Jari Massimiliano Ingarao, nipote del boss, e i sue due fratelli. L'inchiesta, che ha fatto luce su oltre 20 estorsioni, conferma che Cosa nostra continua ad assistere economicamente le famiglie degli affiliati detenuti e a far cassa coi metodi tradizionali del racket, della droga, e dell'infiltrazione nel tessuto economico.

Il sindaco Orlando: "Lo Stato sa tutelare chi denuncia il pizzo" "L'operazione condotta dai carabinieri e coordinata dalla Procura della Repubblica con grande professionalità dimostra come sia necessario non abbassare la guardia contro una vitalità mai sopita delle cosche. Dimostra anche che lo Stato può essere in grado ed è in grado di proteggere chi decide di ribellarsi al pizzo e alla violenza. Che, come giustamente sottolineato dai vertici dei carabinieri, lo Stato sa tutelare chi decide di esporsi contro il ricatto mafioso". Lo ha sottolineato il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, commentando l'operazione antimafia che ha portato all'arresto di 20 persone.

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