Nella nuova puntata di "Giovane Europa", la rubrica di Tgcom24 realizzata in collaborazione con la Commissione europea, si è parlato di immigrazione e, in particolare, delle politiche dell’Unione europea in merito, del Trattato di Dublino e del nuovo Patto su migrazione e asilo, di cui ha parlato la presidente Ursula von der Leyen nel discorso sullo stato dell'Unione.. Ospite del settimo appuntamento, andato in onda giovedì 1 ottobre Vito Borrelli, vice capo della Rappresentanza in Italia della Commissione europea.
Patto sulla migrazione e l’asilo - “La migrazione è una questione complessa con moltissime sfaccettature che devono essere esaminate e prese in considerazione nel loro insieme - spiega Borrelli - La Commissione ha tentato di affrontarle tutte nel nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo, che include tutti gli elementi necessari per un approccio europeo onnicomprensivo; stabilisce procedure più rapide ed efficaci per quanto riguarda il sistema di asilo e immigrazione; garantisce un equilibrio tra i principi di equa ripartizione delle responsabilità e della solidarietà tra gli Stati membri. Ciò è fondamentale, appunto, come ha detto la presidente Ursula von der Leyen nel momento in cui ha presentato questo patto, per poter ripristinare quella fiducia tra Stati membri che è anche la fiducia nella capacità dell’Ue di gestire la migrazione”.
La situazione attuale e il Trattato di Dublino - Dopo il discorso sullo stato dell'Unione di Ursula von der Leyen si è tornato a parlare del Trattato di Dublino. Il regolamento, firmato nel 1990 e entrato in vigore 7 anni dopo, serve per chiarire quale Stato debba esaminare le pratiche di chi, una volta entrato in Europa, chiede diritto d’asilo. Paesi che, nella maggior parte dei casi, sono i Paesi di frontiera, i primi in cui i migranti mettono piede.
L’aumento dei flussi migratori e un eccessivo onere a carico degli stati di frontiera hanno spinto Bruxelles a un primo tentativo di riforma. Dopo intensi negoziati il Parlamento, nel 2017, ha proposto l’eliminazione del criterio del cosiddetto primo ingresso e di sostituirlo con un meccanismo di ripartizione a cui tutti gli Stati membri sarebbero stati chiamati. Accolta dalla Commissione ma bloccata in sede di Consiglio dell’Unione europea, la riforma non è stata adottata. A opporsi i Paesi dell’Est (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia). L’approvazione dei quattro di Visegrad resta ancora oggi il principale ostacolo a qualsiasi tentativo di riforma dell’accordo.
Solidarietà ed equa ripartizione delle responsabilità - “Le preoccupazioni degli Stati membri sono molto divergenti. Di conseguenza, lo sforzo dell’Unione europea è davvero titanico perché deve trovare l’equilibrio e il compromesso tra esigenze che molto spesso sono contrastanti. Lo scopo fondamentale del nuovo Patto è quello di porre in essere un sistema di gestione delle migrazioni che sia prevedibile e affidabile. L’equa ripartizione di solidarietà e responsabilità viene richiesta in particolare nei periodi di forte sollecitazione, quando bisogna sostenere quegli Stati membri che sono sottoposti a pressione e garantire che tutta l’Unione adempia ai propri obblighi umanitari. Questi contributi vengono detti contributi flessibili e possono includere la ricollocazione dei Paesi di primo asilo verso un altro Paese ma anche la funzione di responsabilità di rimpatrio delle persone senza diritto di soggiorno e altre forme di sostegno operativo. Quindi in qualche modo tutti i Paesi membri debbono impegnarsi a contribuire alla gestione dell’emergenza, però in forme che possono essere molto diverse”, aggiunge Borrelli.
L’Ue divisa in blocchi - Ad oggi, infatti, non esiste un meccanismo obbligatorio per quanto riguarda i ricollocamenti. L’Ue, di conseguenza, appare divisa in due blocchi: quello dei Paesi di frontiera, Italia, Spagna e Grecia, che per la loro posizione geografica sono quelli interessati maggiormente dagli arrivi via mare (e nel caso della Grecia anche via terra), e quello dei Paesi settentrionali, l’Austria, la Germania, la Francia, la Danimarca e l’Olanda. Questi ultimi non sono i primi in cui i migranti mettono piede, ma quelli che attirano i migranti economici.
I Paesi di frontiera si devono accollare tutte le pratiche di identificazione e i controlli sanitari, una situazione che porta i migranti a sostare a lungo all’interno dei centri di accoglienza. E sempre a carico di questi Stati è l’intero costo delle pratiche. Dunque, questi Paesi chiedono un sistema europeo comune per quanto riguarda i ricollocamenti, basato sullo smistamento dei migranti in quote. Per quanto riguarda i Paesi settentrionali, questi hanno sempre cercato di evitare che i rifugiati chiedessero asilo in un paese diverso rispetto a quello di primo arrivo.
I quattro di Visegrad, invece, non appartengono a nessuno dei due gruppi, ma negli anni hanno sempre portato avanti delle politiche molto ostili in fatto di immigrazione.
Come arrivare a un’intesa complessiva europea? - “Il Patto proposto dalla Commissione dovrà, come al solito, seguire le procedure interne dell’Ue, essere valutata, studiata ed esaminata dagli altri organi. Parlamento europeo e Consiglio dovranno negoziare una soluzione che possa essere in qualche modo il minimo comune denominatore delle richieste di ogni Paese. Secondo me, ci saranno alcuni elementi che metteranno d’accordo un po’ tutti: tra questi, la migliore pianificazione strategica e una governance comune anche per la gestione delle frontiere. La guardia di frontiera e costiera europea avrà un ruolo sempre più incisivo e renderà più sicure le frontiere esterne dell’Unione. Quindi ci auguriamo che il dialogo tra le tre istituzioni che formano l’Ue possa portare al più presto a una soluzione. Il patto dovrà tenere nella massima considerazione quello che è il rapporto con i Paesi terzi perché è solamente proponendo dei partenariati su misura e reciprocamente vantaggiosi sarà possibile affrontare delle sfide comuni con successo”, conclude Borrelli.