Per quanto vasto sia l’universo videoludico, è difficile scovare un personaggio che meglio incarni rabbia e violenza di Kratos, il protagonista della saga God of War. Il debuto risale a ormai quindici anni fa, nel 2005, anno in cui il primo capitolo arrivò sulla console Sony di allora, PlayStation 2. Stiamo parlando di uno dei più memorabili antieroi che, a oggi, abbiamo avuto la fortuna di controllare su uno schermo e, molto probabilmente, quello che ha subito il più radicale cambiamento di design nel corso della sua vita.
Kratos (dal greco Κράτος, “forza) non trovò il nome fino alle fasi finali dello sviluppo; curiosamente, il team di Sony Santa Monica ignorò, durante questo battesimo virtuale, l’esistenza di una figura della mitologia greca con il suo stesso nome, basando la scelta unicamente sul significato letterale della parola. Il fatto diventa doppiamente curioso e singolare se si pensa che il Kratos mitologico è responsabile dell’incatenamento di Prometeo, mentre quello videoludico arriva a liberarlo dal supplizio (in God of War 2).
Non è solo il nome ad essere stato per molto tempo un mistero, ma anche l’aspetto. Inizialmente, il protagonista doveva essere un soldato mascherato – lontano, nella testa del game director David Jaffe, dallo stereotipo del guerriero greco. Questa idea venne poi abbandonata perché troppo povera di carattere. Il design definitivo nacque in un ristorante, dove a Charlie Wen (director of visual development del primo God of War) venne un vero e proprio attacco d’arte; prese un tovagliolo di carta (non aveva con sé il taccuino) e una penna e tirò giù quello che poi sarebbe diventato l’aspetto definitivo del fantasma di Sparta.
In questo bozzetto già comparivano le armi più rappresentative del nostro rabbiosissimo dio della guerra, le Lame del Caos: incatenate alle braccia del guerriero per sottolineare la sua duplice natura di vittima e carnefice, il loro vorticare sullo schermo donò al primo God of War una fluidità negli scontri in grado di farlo spiccare rispetto all’agguerrita concorrenza.
A renderlo ancora più iconico fu il carattere: sopra le righe, sempre carico di rabbia e violento, a volte volgare; questo design si attirò anche qualche critica, come quella del producer di Prince of Persia, Ben Mattes, che disse: “un personaggio assolutamente fico, ma è bianco e nero; la sua personalità è rabbia allo stato puro, i suoi dialoghi sono rabbia allo stato puro, il suo character design è rabbia allo stato puro – è piuttosto facile”.
Le cose sono cambiate nel 2018 quando, dopo cinque anni di silenzio da God of War: Ascension, Santa Monica inviò ufficialmente il franchise su una nuova strada. Abbandonata la mitologia greca (dopo il putiferio combinato da Kratos nel Monte Olimpo non rimaneva molto altro da fare), ritroviamo Kratos immerso nel folklore nordico.
Invecchiato, stanco, armato non più delle sua lame ma di un'ascia incantata (l’ascia del Leviatano), con un figlio appresso e senza davvero sapere come essere un padre. In questo nuovo inizio, come nel primo (non è un caso se i due giochi condividono lo stesso titolo), il fantasma di Sparta si carica il peso di un grave lutto sulle spalle: qui si tratta dell’amata “Faye” e, al contrario del primo God of War, non è stato direttamente responsabile di questa dipartita.
Kratos, in questa ultima versione, non è più un dio animato dalla sola rabbia; la sua personalità, ora matura, è un risultato delle innumerevoli avventure e disavventure vissute negli anni. Nonostante le perplessità iniziali di una parte della community più restia al cambiamento, God of War (2018) ha riscosso ottimi risultati, diventando una delle esclusive Sony più amate di questa generazione e lasciando i fan in trepidante attesa per il seguito, Ragnarok, previsto per PS5 l’anno prossimo.
Oltre agli otto titoli che compongono la saga di God of War, Kratos è comparso in molte altre opere videoludiche. Si va dai campi da golf di Everybody’s Golf: World Tour (2008) alla versione Sackboy presente come bonus in LittleBigPlanet (stesso anno), per passare da comparsate ben più nel personaggio – come quella in SoulCalibur: Broken Destiny (2009) o nel picchiaduro crossover di casa Sony, PlayStation All-Stars Battle Royale (2012). La fama del fantasma di Sparta lo precede, e sembra essere destinata a rimanere viva ancora molto, molto a lungo.