Coronavirus e sindrome di Down, studio italiano: mortalità dieci volte più elevata
Dall'analisi di dati relativi al periodo 22 febbraio-11 giugno, si sono riscontrati 16 decessi: si tratta di pazienti più giovani e con un rischio maggiore di complicanze rispetto alla popolazione generale
La mortalità per Covi-19 tra le persone con sindrome di Down potrebbe essere fino a dieci volte maggiore rispetto a quella della popolazione generale. E' quanto emerge da uno studio dell'Istituto superiore di sanità che, insieme a Università Cattolica e Campus di Roma, ha analizzato 3.438 grafici elaborati dal 22 febbraio all'11 giugno, identificando 16 decessi in soggetti affetti da sindrome di Down.
Persone più giovani rispetto a quelle senza sindrome di Down sono decedute per coronavirus (52 contro 78 anni) e risultate con un rischio maggiore di complicanze non respiratorie come sepsi (31% contro il 13%).
La ricerca, pubblicata sull'American Journal of Medical Genetics, è in linea con le conclusioni di un altro studio retrospettivo condotto negli Stati Uniti sui pazienti ospedalizzati con Covid-19, che ha descritto un aumento di nove volte la percentuale prevista di pazienti con sindrome di Down ospedalizzati rispetto alla popolazione generale.
Oltre cento vittime con sindrome di Down fino all'11 giugno - "La prevalenza di persone con sindrome di Down nel nostro campione è stata dello 0,5% (16 individui). Questo porta a una stima di 100-130 individui Down deceduti per coronavirus in Italia fino all'11 giugno. La prevalenza della sindrome di Down nella popolazione generale italiana è di circa lo 0,05%, suggerendo che la mortalità da Covid-19 in questo gruppo potrebbe essere fino a dieci volte maggiore della popolazione generale", spiega Graziano Onder, direttore del Dipartimento di Malattie cardiovascolari, endocrino-metaboliche e dell`invecchiamento dell'Iss.
Più suscettibili alle infezioni - Questi pazienti "sono più suscettibili alle infezioni, sperimentano l'invecchiamento precoce di più organi e sistemi, sviluppano un ampio spettro di comorbidità comprese endocrinopatie, malattie neurologiche, reumatiche, muscoloscheletriche", prosegue Onder. Inoltre essi "presentano spesso diverse anomalie anatomiche delle vie aeree superiori che aumentano la probabilità di ostruzione, una condizione che può predisporre all`ipertensione polmonare, che a sua volta può aumentare la gravità dell'infezione da Covid-19".
"L'accesso al vaccino deve essere prioritario" - In sintesi, le persone adulte con sindrome di Down "rappresentano una popolazione fragile e vulnerabile alle infezioni e pertanto da tutelare con estrema attenzione in questa fase epidemica", dichiara Emanuele Rocco Villani, dottorando di ricerca in Scienze dell'invecchiamento all'Università Cattolica e primo autore della ricerca. Le persone con sindrome di Down rientrano dunque nella fascia di popolazione per cui l'accesso al vaccino per il coronavirus "dovrà essere prioritario, nel momento in cui esso sarà finalmente disponibile".
Dati e percentuali - Gli individui Down presi in esame erano più giovani di quelli senza SD (52 contro 78 anni), mentre la distribuzione del sesso era simile (38% donne e 33% uomini). Le malattie autoimmuni come la tiroidite di Hashimoto e la psoriasi (44% contro il 4%), l`obesità (38% contro il 11%) e la demenza (38% contro il 16%) erano però significativamente più diffuse negli individui con sindrome di Down.
Fattori di rischio e superinfezioni - Queste condizioni sono noti fattori di rischio, in quanto associate a uno stato pro-infiammatorio, che sembra avere un ruolo nell'insorgenza di gravi complicazioni legate al Covid-19. Tutti e 16 i soggetti inoltre hanno sviluppato, come complicanza, la sindrome da distress respiratorio acuto. Anche le superinfezioni batteriche, come le infezioni del sangue (sepsi) e la polmonite batterica, sono state più comuni tra i soggetti Down morti per Covid-19 rispetto alla popolazione generale (31% contro il 13%). Un dato in linea con l'osservazione che gli individui con SD presentano una maggiore suscettibilità alle infezioni per la presenza di deficit immunitari.
La demenza - I 16 pazienti esaminati avevano inoltre un'alta prevalenza di demenza, il che è coerente con ciò che si osserva nella popolazione con SD, nella quale possono verificarsi danni cognitivi progressivi a partire dall'età di 45 anni, raggiungendo una prevalenza complessiva di demenza fino al 68-80% a 65 anni. Anche questo è in linea con l'osservazione che le caratteristiche dell'invecchiamento si verificano in genere prima rispetto alla popolazione generale e coinvolgono soprattutto il cervello e il sistema immunitario. L'età media di morte nei soggetti con sindrome di Down è stata stimata intorno a 60 anni.
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