Qualche giorno alla settimana di smart working piace, ma senza perdere il contatto con l’ufficio, il luogo in cui si può imparare da colleghi più esperti. È questa la fotografia scattata da OneDay, il business & community builder che mette le nuove generazioni di lavoratori al centro dell’Osservatorio “Smart Working: il punto di vista di GenZ e Millennials” presentato in collaborazione con Il Sole 24 Ore. L’obiettivo dello studio è restituire un quadro di come sarà il mondo del lavoro nel futuro del post covid, capire le aspettative dei giovani lavoratori e interpretare il pensiero delle aziende che li assumeranno, provando così a ridurre quel gap che troppo spesso rende difficile ai ragazzi trovare un posto compatibile con il proprio percorso di studi.
Sì al lavoro da casa, ma solo se non penalizza la formazione - Smart working deve fare rima con autonomia e flessibilità, ovvero le caratteristiche fondamentali della loro azienda dei sogni. Non vogliono perdere il contatto con l’ufficio, a patto che gli spazi vengano ripensati in modo da incentivare la condivisione, la creatività e i momenti di convivialità. I giovani, che spesso ricoprono ruoli più junior all’interno dell’azienda, sono inoltre preoccupati per la formazione: per poter imparare è fondamentale il confronto spontaneo e la possibilità di lavorare vicino ai manager e colleghi più esperti. Questo è il quadro generale che emerge dallo studio OneDay, ma il sondaggio sottoposto a oltre 2mila tra giovani e giovanissimi evidenzia anche aspetti più specifici.
Meglio lavorare in scarpe o in pantofole? - Lo smart working non è stato scoperto in lockdown, ma sicuramente la situazione ne ha amplificato l’uso. Il lavoro agile era già tra i progetti delle aziende italiane: il 42,34% dei giovani già “lavorava da ovunque” anche prima della pandemia. A essere aumentata in questi mesi è la frequenza con cui GenZ e Millennials fanno smart working: il 64% di essi dichiara che le ore in remoto sono aumentate considerevolmente.
Ma cosa pensano i giovani di questo scenario? Uno su due (53%) lo considera una grande occasione, soprattutto per migliorare la qualità della propria vita, in nome del famoso work-life balance.
Una piccola parte di questi (4,4%), è però preoccupato per i fattori che possono peggiorare la performance lavorativa: lo smart working da casa comporta troppe distrazioni. Molti poi non sono contrari allo smart working, ma sono convinti che sia una modalità da affiancare al lavoro in ufficio (40,6%).
Sono i dati che riguardano il luogo di lavoro a sorprendere: il 72% dei rispondenti non vuole rinunciare all’ufficio, a patto che la sua funzione venga rivista. Sembra contrastare con questo dato l’opinione sul full remote, con il 60% che dichiara di voler lavorare da remoto. Approfondendo però si evincono due insight interessanti: chi vorrebbe lavorare da remoto, non lo ha forzatamente provato durante il lockdown (si tratta quindi di studenti e inoccupati) e la percentuale di chi lo farebbe si alza proporzionalmente al crescere dell’età.
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L’azienda dei sogni – Otto ragazzi su dieci indicano come fondamentale l’avere orari flessibili e la possibilità di lavorare a obiettivi e non a tempo. Lo stesso plebiscito ha ottenuto l’opzione che riguardava la possibilità di partecipare a un programma di formazione personalizzato (80,4%): le nuove generazioni si aspettano che l’azienda li formi e lo faccia all’interno dell’orario di lavoro. Per i giovani sarebbe inoltre importate poter contare su un piano di welfare aziendale: per quasi il 70% dei rispondenti è fondamentale accedere a servizi volti a incrementare a 360 gradi il proprio benessere e sono ancora di più i ragazzi che vorrebbero che l’azienda mettesse a disposizione benefit dedicati al sostegno dei genitori. Non è invece importante coinvolgere la famiglia in eventi o attività corporate (solo 25,9), probabilmente perché le nuove generazioni non hanno ancora formato una nuova famiglia e l’accesso al mondo del lavoro è il primo passo verso l’indipendenza da quella d’origine.
Giovani maturi e attenti al futuro - “Questi risultati ci dimostrano che i giovani sono maturi e si preoccupano per il loro futuro” commenta Betty Pagnin, P&C Director di OneDay, “Sono consapevoli che imparare da remoto sia difficile, proprio perché viene meno il processo di formazione basato sulla condivisione e il confronto con altri team member e i propri leader. Il mondo del lavoro sta cambiando, e i giovani per attitudine e per qualità di stimoli se ne sono accorti da un pezzo. Le aziende se vogliono continuare a essere attrattive devo evolversi per stare al passo coi tempi”.