Interessano ai colossi del web e alle banche centrali, ma il Gruppo di azione finanziaria internazionale ( l'organizzazione intergovernativa fondata su iniziativa del G7 per sviluppare politiche per combattere il riciclaggio di denaro) - teme che possano essere usate anche in contesti illegali, per favorire riciclaggio di denaro sporco e finanziare il terrorismo internazionale. Le criptovalute, in uso ormai da oltre dieci anni, presentano diverse potenzialità ma anche numerosi rischi, sui quali non si è ancora riusciti a fare chiarezza in modo definitivo. Questo tipo di valuta digitale funziona grazie alla tecnologia della blockchain e alla crittografia. Il termine inglese "cryptocurrency" deriva infatti dalla fusione di "cryptography" (crittografia) e "currency" (valuta). Con questo articolo vi raccontiamo la situazione in materia e rispondiamo alla richiesta di news on demand che ci è arrivata dalla nostra lettrice Maria Bergonzi.
Blockchain e crittografia: gli ingredienti delle criptovalute - Le criptovalute sono rappresentazioni digitali di valore che utilizzano tecnologie di tipo peer-to-peer (ovvero tra due dispositivi direttamente, senza necessità di intermediari) per acquistare beni e servizi. I nodi delle reti sono costituiti da computer che potenzialmente possono essere distribuiti in tutto il mondo, su di essi vengono eseguiti appositi programmi che svolgono funzioni di portamonete. Le transazioni e il rilascio avvengono collettivamente in rete, quindi non esistono né una gestione di tipo centralizzato né un’autorità di controllo.
Il controllo decentralizzato di ciascuna criptovaluta funziona attraverso una blockchain, che ha la funzione di database di transazioni finanziarie pubbliche. La blockchain è costituita da un elenco di record in continua crescita, chiamati blocchi, che sono collegati e protetti con la crittografia.
Bitcoin: la criptovaluta del misterioso Nakamoto - Al mondo esistono oltre 6mila criptovalute. La prima a essere stata conosciuta su larga scala, e forse la più famosa, è il Bitcoin. È stata creata nel 2009 da un misterioso informatico di cui si conosce solo lo pseudonimo, Satoshi Nakamoto. A oggi, un Bitcoin vale poco meno di 9mila euro, valore che ha mantenuto con qualche oscillazione nell’ultimo anno. Secondo le previsioni sarà emesso un numero limitato di Bitcoin nel corso dei prossimi decenni: 21 milioni di unità entro il 2140. Nonostante la loro popolarità, la sicurezza dei Bitcoin non è certa: la scrittura alla base della blockchain potrebbe nascondere qualche imperfezione facilmente sfruttabile dai cybercriminali.
Ethereum e le altcoin - Nel corso degli anni sono nate delle altre criptovalute, le altcoin, che dichiarano di offrire agli utenti requisiti di privacy e sicurezza più avanzati rispetto alla sorella maggiore. Una delle più note è l'Ethereum, nata nel 2015. È in grado di digitalizzare in maniera sicura la conclusione dei più svariati tipi di contratto: transazioni finanziarie, sistemi elettorali, registrazione di nomi dominio, piattaforme di crowdfunding, proprietà intellettuale e assicurazioni. La differenza principale rispetto al Bitcoin sta proprio nel fatto che l'Ethereum non è soltanto un network per lo scambio di valore monetario ma una rete che sostiene una molteplicità di transazioni. I contratti di Ethereum pagano l’utilizzo della sua potenza computazionale tramite una criptovaluta, Ether, che ha anche la funzione di sostenere la piattaforma. A oggi, un Ether vale poco meno di 300 euro, dalla sua nascita ha superato i 1000 euro solo nel 2018.
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Potenzialità e rischi - Dopo la crisi finanziaria del 2008, le criptovalute hanno registrato un notevole successo, presentandosi nel mondo dei mercati come il nuovo modo di dare e ricevere garanzie nelle transazioni finanziarie. Acquistarle però non è per tutti anzi, a causa della loro volatilità, le criptovalute sono considerate un investimento ad alto rischio. “A oggi, le criptovalute non possono essere considerate monete, ma investimenti finanziari” spiega Donato Masciandaro, docente di Economia monetaria all’Università Bocconi. “Non sono assimilabili al denaro per due motivi: in primo luogo non sono uno strumento di pagamento diffuso ed efficiente, la seconda ragione è l’instabilità del loro valore. Come investimento finanziario hanno un’alta volatilità, possono quindi piacere agli amanti del rischio e a chi apprezza la loro presunta anonimità”.
Anonimato: realtà o utopia? -“La blockchain standard che abbiamo iniziato a conoscere con Nakamoto non è un sistema totalmente anonimizzato ma pseudo-anonimizzato” conferma Francesco Grossetti, docente di Accounting Information Systems e Data Science all’Università Bocconi, “è infatti possibile tracciare molto efficacemente i flussi di Bitcoin e, conseguentemente, ricondurre le transazioni effettuate a specifiche identità presenti nel sistema”. “Per quanto riguarda la legalità delle operazioni, tutto dipende dal tipo di piattaforma sulla quale viene fatto trading. Se qualcuno vuole commettere un illecito, può andare tranquillamente sul Bitcoin: basta che si tenga alla larga dai market regolamentati (piattaforme che raggruppano i codici anonimi) che rispettano le regole dei Paesi in cui operano e scelga invece piattaforme che non si curano della legalità. Nei market regolamentati infatti, non solo la blockchain rende possibile la tracciatura delle operazioni e la scoperta di illeciti, ma gli operatori del market hanno facoltà di intervenire ed eventualmente avvisare le autorità competenti del Paese di afferenza”, conclude.
La Libra di Zuckerberg e le stablecoin - Da alcuni anni si parla anche di stablecoin, una nuova tipologia di criptovaluta. L’esempio più famoso è quello di Libra, lanciata nel 2019 dal creatore di Facebook Mark Zuckerberg. Il progetto però è ancora congelato, mentre un’altra stablecoin, Gram, ideata Pavel Durov, è morta ancor prima di vedere la luce, invalidata dalla Sec americana. Ma in cosa si differenzia questa nuova generazione di criptovalute dal Bitcoin? “Al fine di ovviare all’instabilità del valore delle criptovalute, alcuni emittenti promettono di ancorare l’andamento a un paniere di monete o attività finanziarie pubbliche già esistenti”, spiega Masciandaro. “Ma quanto è credibile questa promessa, dato che non stiamo parlando di Stati sovrani, ma di operatori privati? Anche le stablecoin rimangono scommesse”. Quel che è certo è che il Gruppo di azione finanziaria internazionale ha spedito ai ministri delle Finanze e ai Governatori delle banche nazionali del G20 un rapporto su queste nuove criptovalute, che monitora dal 2014, in cui ribadisce il rischio che siano usate per operare riciclaggio.
Moneta pubblica digitale - Quest’anno però, in seguito all’apertura al digitale imposta dall’emergenza Covid, le Banche centrali si sono interessate al mondo delle criptovalute e si preparano a battere monete fatte di bit. Secondo quanto diffuso dalla Bri (Banque des Règlements Internationaux), l'80% delle Banche centrali ci sta lavorando, il 40% ha avviato sperimentazioni, il 10% ha messo in campo progetti pilota. Anche la Fed sta effettuando ricerche con il Mit sul tema e la Cina ha avviato un programma a inizio anno, in aperta sfida al predominio del dollaro.
“È solo questione di tempo” è il commento di Masciandaro, “le Banche centrali prima o poi dovranno produrre moneta pubblica digitale. L’emissione di questa valuta è però un “vaso di Pandora”, perché apre quesiti tecnici e politici sia nel perimetro della politica monetaria chi in quello della vigilanza bancaria e finanziaria. Quindi non ci resta che aspettare”.
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Regolamentazione in Italia e all'estero - La regolamentazione delle criptovalute trova spazio in Italia nella normativa sul contrasto al riciclaggio di denaro nel D.Lgs. 90/2017 introdotto in attuazione della IV Direttiva Antiriciclaggio dell’Unione Europea (Direttiva UE 2015/859). Secondo la normativa, bisogna dichiarare le criptovalute sia che si detengano presso un intermediario risiedente all'estero (per esempio un exchange wallet con sede negli Stati Uniti), sia che si detengano presso un portafoglio elettronico gestito personalmente dal contribuente.
Nei Paesi dell'Unione europea, per il principio di neutralità fiscale con riferimento alle valute estere, è stato definito che l'acquisto di criptovalute sia esente Iva. Per quanto riguarda il pagamento di imposte sul capital gain, la vicenda è invece ancora controversa.
L'Australia è stata tra i primi paesi a prendere posizione sulla questione, introducendo nuove leggi antiriciclaggio e contro il finanziamento del terrorismo attraverso l'Ufficio delle imposte australiano (Australian Taxation Office, ATO) per tassare i profitti delle criptovalute e identificare gli investitori.