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Fake news e Covid-19, Razzante: "Fare buona informazione significa spiegare bene i dati sul contagio"

Il professore, intervistato da Tgcom24, presenta i contenuti del Manifesto di Piacenza con i nuovi principi deontologici per i giornalisti e spiega come la Task Force sta lavorando per arginare la disinformazione durante l'emergenza sanitaria

Tgcom24

E' in corso a Cortina il festival di formazione giornalistica dal titolo "Cortina tra le righe 2020", che quest'anno ha visto tra i suoi ospiti il professore Ruben Razzante, docente di Diritto dell'Informazione all'Università Cattolica di Milano e membro della Task Force del Governo italiano contro le fake news in materia di Covid-19. A Cortina è stato presentato il Manifesto di Piacenza, redatto nel 2018 dall'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (UGIS) e approvato ieri a Roma dall'esecutivo dell'Ordine nazionale dei giornalisti, contenente nuovi fondamenti deontologici. L'ultimo step è la ratifica da parte del Consiglio Nazionale dell'Ordine che avverrà nei prossimi giorni e permetterà di introdurre questi nuovi principi nel Testo Unico dei doveri del giornalista del 2016.

"In questo festival abbiamo illustrato questi principi e quindi il fatto che i giornalisti debbano valutare correttamente le fonti scientifiche prima di scrivere notizie", ha spiegato Razzante a Tgcom24.  

Partiamo da un dato: quante fake news relative al Coronavirus sono circolate durante questi mesi di emergenza sanitaria? Non ci sono dati, perché ovviamente sono milioni le fake news circolate. Certamente molte di queste hanno anche indotto in errore molte persone che si sono comportate in modo sbagliato rispetto al Covid. Sono state un'arma utilizzata un po' con dolo e un po' con superficialità dagli opposti schieramenti: sia dagli allarmisti sia dai minimalisti, che non chiamo negazionisti, perché sono persone che non negano l'esistenza del virus, ma ne minimizzano la portata. Le fake news sono una piaga, non a caso si è parlato di infodemia accanto alla pandemia. Questo ha prodotto danni incalcolabili alla salute psichica delle persone terrorizzandole o tranquillizzandole eccessivamente, all'economia che non riparte ancora e alla stabilità degli Stati stessi.

Il binomio fake news - salute è molto pericoloso. In concreto la Task Force come sta agendo durante questi mesi? Ha dettato delle linee guida, contenute in un documento -Programma operativo- del 9 giugno e consultabile sul sito del Dipartimento per l'informazione e l'editoria di Palazzo Chigi, da seguire per azioni di contrasto alla disinformazione legata al Covid-19. Quindi, ad esempio, campagne di sensibilizzazione contro le fake news sui canali YouTube del Ministero della Salute o, ancora più importante, la creazione di un hub unico in cui accentrare tutte le domande frequenti che i cittadini si pongono sul virus e in cui il Ministero della Salute, l'Istituto Superiore di Sanità e le altre istituzioni preposte alla tutela della salute dovrebbero far confluire tutte le loro conoscenze e acquisizioni scientifiche per fornire risposte puntuali. Infine la programmazione di corsi di formazione per fornire competenze specifiche ai comunicatori istituzionali affinché possano far arrivare ai giornalisti e ai cittadini notizie basate su evidenze scientifiche e istituzionalmente corrette sul virus.

A inizio pandemia, l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha diffuso comunicazioni contrastanti. Come ha gestito il Governo questo flusso di informazioni? E' nato o c'è la volontà di far nascere un coordinamento tra gli Stati europei volto a contrastare la disinformazione? La Commissione europea ha lavorato sodo e ha incalzato in questi mesi i colossi del web affinché contribuissero a rimuovere le fake news più evidenti e a collaborare per far circolare più facilmente informazioni attendibili. E' chiaro che all'inizio questo nemico invisibile era completamente sconosciuto, adesso ci sono delle certezze in più. Si è affinato il protocollo da seguire negli ospedali e la comunicazione è un po' più ordinata, ma non sufficientemente e quindi c'è bisogno di fare uno sforzo in più. In questa fase in cui tutti parlano di una seconda ondata, di contagi che continuano a salire e del rischio di un nuovo lockdown, bisognerebbe che i giornalisti chiarissero il reale significato di questi continui dati sui contagi. Perché se continuiamo con questa ossessione tutte le sere di diffondere i dati sui contagi senza spiegare che soltanto l'1% di questi contagiati finisce in ospedale o muore, mentre nell'epoca buia del Covid era circa il 40% che finiva in ospedale o moriva, non rendiamo un servizio al Paese, non facciamo buona informazione. Bisogna dire ai cittadini che in Italia ci sono 8mila posti in terapia intensiva e al momento siamo sui 150 posti occupati e molte di quelle persone non hanno solo il Covid, sono persone fragili. Questo non vuol dire che il virus non sia pericoloso, ma che, una volta rispettate le norme, dobbiamo vivere tranquilli. Dobbiamo essere cittadini prudenti e attenti, ma non impauriti.

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Alcuni leader politici hanno inizialmente minimizzato la portata del virus, diffondendo anche delle fake news. Come riesce un Paese alleato a contrastare questa disinformazione senza creare incidenti diplomatici? Bisogna fare attenzione, perché i circuiti mediatici sono controllati dagli altri poteri. L'informazione nel mondo solo in minima parte è libera. Ci sono condizionamenti finanziari, commerciali, politici. Quindi è chiaro che è tutto filtrato e noi abbiamo solo un vaccino per salvarci da questa disinformazione: sospendere il giudizio su situazioni che non conosciamo fino in fondo. Da oltreoceano ci arrivano echi di fatti che noi non viviamo direttamente e che sono filtrati da circuiti mediatici internazionali, quindi accortezza nel valutare situazioni che non conosciamo.

I social network hanno dato vita a diverse iniziative con lo scopo di informare correttamente gli utenti. Come valuta questa azione da parte di questi enti privati? La valuto positivamente perché in questa fase il pubblico delle piattaforme è molto più esteso del pubblico dei media tradizionali e quindi, se questi colossi del web si impegnano a diffondere informazione di qualità, rendono un servizio alla comunità di Internet. Quindi va un plauso a questi colossi del web, che pure hanno tratto vantaggio dall'utilizzo massiccio della rete di questo periodo anche in termini di fatturato, di crescita degli utili, etc. Poi è evidente che non appena la situazione sarà meno preoccupante, bisognerà affrontare il tema della responsabilità giuridica di questi colossi di fronte ai contenuti che viaggiano sulle piattaforme e soprattutto bisognerà affrontare i temi fiscali, della tassazione di questi colossi e anche del riconoscimento del copyright sui prodotti giornalistici che viaggiano su queste piattaforme.

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