Il metodo e il nome dei Casalesi impiantati nel Veneziano, a Eraclea. Nell'aula bunker di Mestre è in corso il maxi processo che ruota attorno alla figura di Luciano Donadio, imprenditore edile capace di mettere in piedi un meccanismo criminale ora raccontato dal pentito e suo ex braccio destro Christian Sgnaolin. Il boss non esitò, una volta, a piazzare una bomba davanti all'agenzia del titolare che al bar aveva detto: "Donadio è terrone e non è affidabile".
La testimonianza dell'ex braccio destro - Christian Sgnaolin ha parlato, come riporta il Corriere del Veneto, per un giorno intero mettendo in luce la figura di Luciano Donadio, l'imprenditore che si vantava della sua amicizia con Francesco "Sandokan" Schiavone, il boss dei Casalesi da tredici ergastoli, replicandone in territorio veneto i metodi e ricorrendo, quando necessario, al suo nome e alla sua fama. Il meccanismo criminale scoperto a Eraclea lo scorso anno viene ricostruito nel corso del processo e una figura chiave come quella dell'ex braccio destro del boss Donadio permette di risalire a episodi significativi rispetto al "modus operandi" del clan.
"Terroni inaffidabili": e il boss piazza la bomba - "Donadio non era un usuraio, era contrario a certe pratiche e anzi prestava soldi a fondo perduto", ha raccontato Sgnaolin che però ha anche ammesso che "non esitava a ricorrere alla violenza". Un consigliere comunale che aveva sfiduciato l'allora sindaco Graziano Teso si ritrovò con l'auto bruciata mentre la squadra di calcio che non voleva più la ditta come sponsor venne minacciata. E il titolare dell'agenzia Universo di Eraclea Mare che al bar aveva pronunciato la frase "Donadio non è affidabile, è terrone, dei terroni non ci si può fidare" si ritrovò una bomba davanti alle vetrine del locale: il boss, uno che non aveva mai lasciato debiti, si era risentito e non aveva preso bene quella battuta infelice. "Ti faccio vedere io chi sono i Casalesi di Eraclea", disse poi una volta Donadio sparando contro la vetrina di un immobiliare che non voleva pagare.
"La polizia li mette dentro, la Donadio costruzioni li tira fuori" - Questi erano i metodi dell'imprenditore che servivano per risolvere ogni genere di controversia da Jesolo a Padova, da Portogruaro al Friuli. Spendere il nome del capo serviva, ad esempio a far lavorare di più un dj ma la sua fama arrivava ben oltre. "In ufficio girava una battuta: la polizia li mette dentro, la Donadio costruzioni li tira fuori", ha raccontato Sgnaolin. Bastava che Donadio inventasse un contratto di lavoro e automaticamente si chiedevano i domiciliari: "La fama era tale che, a un certo punto, anche chi non c'entrava con il gruppo provava a usare quei nomi importanti, salvo poi rischiare pesanti ritorsioni".
"Fuoco e fiamme" - Donadio, infatti, era solito ripetere: "Questo territorio me lo sono preso con il fuoco e con le fiamme". Non aveva, infatti, avuto timori a spendersi in favori, aiuti, regali: in dieci anni aveva ospitato latitanti, spedito borsoni pieni di armi da fuoco, aiutato i carcerati e le loro famiglie.