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Sabine: "Sopravvissuta all'inferno"

Marcinelle, esce libro vititma Dutroux

Sabine Dardenne, la ragazza 21enne sopravvissuta nel 1996 all'orrore del pedofilo Marc Dutroux, ha deciso di raccontare i suoi 80 giorni di sevizie nella cantina-prigione di Marcinelle (Belgio). "Ho ricostruito il mio calvario - ha dichiarato l'autrice di "Aux frontières de l'enfer. Et parfois au-delà de celles-ci" - perché non accada più che un un pedofilo esca di prigione quando non ha finito di scontare la pena solo per buona condotta".

Il libro, in vendita in Francia e Belgio, e dall'8 novembre in Italia, sarà tradotto in 14 lingue e messo in commercio in 30 paesi. Sabine Dardenne, oggi 21enne, racconta la tragedia vissuta sulla sua pelle e iniziata il 28 maggio 1996, quando appena dodicenne, venne rapita da Marc Dutroux mentre stava andando a scuola in bicicletta. Rimase oltre due mesi e mezzo chiusa nella cantina dell'abitazione del mostro di Marcinelle, torturata e violentata; prigione dove negli ultimi giorni venne raggiunta dalla sua compagna Laetitia Delhez.

"Sono una delle poche persone che ha avuto la chance di sopravvivere a questo genere di killer" scrive Sabine nel libro in cui il pedofilo è chiamato "l'altro" o "dutroux" con l'iniziale minuscola. "Questo racconto era per me necessario, perché smettano di guardarmi come fossi qualcosa di strano e anche perché nessuno, in futuro, mi faccia più domande a riguardo".

In una lunghissima intervista pubblicata dal quotidiano belga "Le Soir", Sabine racconta che dopo la fine del processo Dutroux, quattro mesi fa, in metropolitana o sul treno si sentiva osservata "dalle persone come un animale da circo. Dopo il 1996 mi ero murata viva, ed ero presto rientrata nell'anonimato. Scrivere il libro mi ha fatto bene, mi ha aiutata a ritrovare un po' di pace".

L'autrice, che è stata aiutata nella stesura della sua testimonianza dalla scrittrice francese Marie-Therese Cuny, nel lungo monologo pubblicato su "Le Soir" dice di aver avuto bisogno di allontanarsi dai suoi familiari, di rimanere da sola di essersi sentita soffocata da loro: "Ho scelto di tagliare i ponti, forse non definitivamente, in ogni caso per l'istante, ne sento il bisogno. E' per questo che al processo non volevo che venissero, per proteggere loro ma anche per proteggermi da loro".

Della sua adolescenza rubata da Dutroux e delle conseguenze sul piano psicologico che ciò ha comportato, anche nei rapporti con la famiglia, la Dardenne ricorda un episodio del suo rientro a casa subito dopo la liberazione. "La prima cosa che ho voluto fare tornando a casa è stato il giro dell'appartamento per verificare se era vero, come diceva l'altro (Dutroux) che i miei genitori mi avevano dimenticata".

Quando in salone ha trovato alcuni cuscini e delle lampade nuove acquistate durante la sua prigionia, Sabine racconta di aver pensato: "Io sono in una cella sotto terra e loro vanno a fare spese? Forse è vero che mi hanno dimenticata e con una figlia in meno da mantenere si sono potuti permettere di fare più acquisti".

Solo con il tempo, ha chiuso la Dardenne,  "ho capito che i miei genitori dovevano pur continuare a vivere durante quei terribili 80 giorni e che era normale che continuassero a fare delle spese".