Nessuno tocchi la carne. No, nemmeno i vegani. Negli istituti alberghieri la pietanza deve essere cucinata comunque, a prescindere che gli studenti la mangino o meno. Con buona pace dei ragazzi vegani, quasi "obbligati" ad apprendere i modi per cucinare la carne. La denuncia è arrivata in redazione da parte di una ragazza vegana, esasperata dal fatto: lei, di cucinare carne nel suo alberghiero, non ne vuole proprio sapere. Skuola.net è andata a domandare cosa succede davvero nelle cucine degli ex istituti alberghieri, ora nuovi istituti professionali servizi per l'enogastronomia e l'ospitalità alberghiera, a chi ne sa qualcosa di più, la professoressa Antonietta De Angelis, preside della scuola Pellegrino Artusi di Roma.
A che tipo di cucina i vostri insegnanti preparano gli alunni?
Noi del Pellegrino Artusi facciamo cucina tradizionale, quella che poi caratterizza la cultura italiana. Perché chi viene in Italia viene a mangiare i bucatini all'amatriciana, diciamo così. Quindi rispettiamo queste regole.
Non è stato previsto uno spazio per altri stili di alimentazione?
In realtà quest'anno abbiamo cercato di fare un moduletto sulla cucina celiaca. C'è anche un professore di cucina che è più abile nella cultura vegana, e mi ha detto che, come programma, quest'anno dovrebbe arrivare fino alla vegana.
C'è quindi l'intenzione di rispettare i consumatori vegani...
Diciamo che non è che la scuola manchi di rispetto alle innovazioni. La scuola segue quelle che sono le tendenze di massa, e questo è ovvio. Perché quando i ragazzi si recheranno nelle varie strutture al 90% si chiederà loro una cucina tradizionale e non una cucina vegana. Perché è chiaro che per il momento stiamo parlando di una cucina di nicchia. Ma la scuola non è insensibile. Come dicevo, siamo partiti con un corso di cucina per celiaci, che comincia a diventare un problema di salute, di gente che è intollerante. Piano piano ci stiamo avvicinando anche alle altre cucine senza nessuna remora.
In che modo gli istituti alberghieri possono adeguarsi a queste tendenze?
Per esempio bisogna trovare l'insegnante che sappia insegnare altri tipi di cucina. Noi qualcuno lo abbiamo, e peraltro mi ha detto che forse a fine anno arriveremo anche a quella vegana. Come seguiamo le tradizioni, raccoglieremo anche le innovazioni.
Avete studenti vegetariani o vegani?
Francamente non so se ci sono. Ho qualche segnalazione di celiaci, ma perché se vengono a contatto con determinati elementi stanno male. Per il resto non so se ci sia qualcuno che mangia soltanto verdure. Qui, finito di cucinare, si degusta. In caso assaggerà soltanto quello che è di suo gradimento. Nessuno è obbligato a mangiare qualcosa che non vuole.
Qui a Skuola.net ci sono però arrivate delle segnalazioni di ragazzi vegani che hanno lamentato una certa discriminazione da parte degli istituti alberghieri nei loro confronti...
Io penso che le tendenze siano da rispettare. E personalmente mi interesso di capire come vengano preparati alcuni cibi non tradizionali. E credo anche che saper preparare qualcosa di vegano sia una marcia in più, perché si va a rispondere a una nuova tendenza di mercato. Per questo mi sembra difficile che ci sia qualche struttura alberghiera che non si interessi di questa differenziazione della domanda.
E se un suo studente non volesse toccare cibo animale?
Sarebbe un problema per lui. Cioè, se dichiara di non voler toccare cibi di provenienza animale per problemi etici o per ragioni sue, vuol dire che mancherà di quella parte di esperienza. Però io penso che venire in una scuola alberghiera tradizionale in questo senso sarebbe penalizzante per lui innanzitutto. Ci vorrebbe un indirizzo vegano, e al momento non ci sono differenze di questo tipo. Intendo dire che per i vegani ci vorrebbe una cucina solo per loro, dove non si usano carne, latte, uova.
Se lo Stato decidesse di aprirsi a corsi di cucina vegana o vegetariana?
Io ho tre cucine che coprono tutto il fabbisogno degli alunni. Per differenziare altre cucine ci vorrebbero locali diversi, e un corpo di docenti diversi. Quindi un organico diverso. Se ce li danno, noi li attiviamo senza problema. Anzi, sono posti di lavoro in più. E per i ragazzi che sono proiettati a un impegno di lavoro, che durerà trenta o quaranta anni, mi sembra che non sia sbagliato.