I giudici della corte d'Assise di Ravenna hanno condannato all'ergastolo Daniela Poggiali, la 44enne ex infermiera dell'ospedale Umberto I di Lugo, nel Ravennate. La donna è accusata di avere ucciso una sua paziente 78enne iniettandole la mattina dell'8 aprile 2014 una dose letale di potassio. Concessa anche una provvisionale da 150mila euro ai due figli della vittima. La 44enne è indagata per un'altra decina di morti sospette in corsia.
Secondo l'accusa, durante i suoi turni ci furono una novantina di morti in più rispetto alla media dei periodi senza di lei.
Per il pm, l'infermiera aveva tentato di depistare gli eventuali sospetti su di lei prima consegnando al laboratorio una fiala di sangue che non era della paziente alla quale, visto il repentino aggravarsi delle condizioni cliniche, era stato prelevato alle 9.05 (altrimenti il potassio iniettato da così poco si sarebbe visto). Poi, dopo che la 78enne alle 9.40 era morta, aveva scambiato l'ago del suo deflussore con quello di un altro paziente. Il pm aveva fatto riferimento anche a tutti i furti (70-80 all'anno) verificatasi nel reparto della Poggiali, la Medicina, quando lei era in servizio. E soprattutto alle numerose morti sospette sempre in sua presenza. "In criminologia - aveva detto la pm Scorza - sarebbe indicata come serial killer dominante: uccidendo, si sentono potenti. E lei ha ucciso non per pietas ma perché si compiace di dare la morte".
L'avvocato difensore Stefano Dalla Valle aveva invece chiesto chiesto l'assoluzione "perché il fatto non sussiste" o "perché non l'ha commesso". In subordine il legale aveva chiesto che l'imputata venisse assolta "perché le prove raccolte sono insufficienti o contraddittorie. "Dopo due anni non è emerso nessun riscontro. L'ipotesi accusatoria è solo suggestiva", aveva detto Dalla Valle.
Quando il presidente della corte, Corrado Schiaretti, ha letto la sentenza, la Poggiali ha abbassato gli occhi e scosso la testa, prima di essere riportata nel carcere di Forlì. La Procura aveva chiesto per l'imputata l'ergastolo più l'isolamento diurno per un anno e mezzo, che è stato invece escluso, come l'aggravante dei motivi abbietti. Alla base della condanna invece ci sono la premeditazione e l'uso del mezzo venefici.