L'omicidio di Elena Ceste ha avuto una "lunga incubazione" nella mente del marito, Michele Buoninconti, il quale è stato però "tradito da un solo errore". Lo si legge nelle motivazioni depositate dal giudice Roberto Amerio per la condanna a 30 anni del coniuge della donna di Costigliole d'Asti scomparsa da casa il 24 gennaio 2014 e trovata senza vita il 18 ottobre successivo in un corso d'acqua a un paio di chilometri.
L'"errore" citato dal magistrato si riferisce alle chiamate effettuate da Buoninconti al cellulare della donna, il giorno del delitto, evidentemente per cercare l'apparecchio "nel timore che fosse stato smarrito". L'analisi delle celle telefoniche dimostra, infatti, che era "nell'area del ritrovamento del corpo di Elena in un orario compatibile con il successivo sviluppo dei fatti".
"E' del tutto verosimile - si legge - ritenere che sia stata l'esasperazione di Michele per la doppia vita tenuta di Elena a sua insaputa a costituire il detonatore dell'azione criminosa". Secondo il magistrato è probabile che Buoninconti abbia ideato il piano "nell'autunno del 2013" dopo "un primo confronto con la moglie", ma poi vi ha soprasseduto in attesa che la donna tornasse "nei controllati ritmi famigliari".
L'uomo ha poi deciso di entrare in azione il 21 gennaio, quando ha "scorto occasionalmente i messaggi inoltrati da Elena" a un amico. La scelta di agire il 24 è stata "consapevolmente sfruttata perché l'imputato (un vigile del fuoco, ndr) proprio quella mattina fruiva di un riposo programmato".
Il giudice sottolinea "la tristezza" manifestata da Elena il 22 gennaio durante un incontro con un'amica, che dimostra "il disagio della donna di fronte ai contrastati sentimenti provocati contemporaneamente dal suo desiderio di evasione e dall'amore per la famiglia, identificata soprattutto nei figli".