Da "liberale, liberista, libertario e anche un po' (ex) libertino" - direbbe Pannella -, il fatto che la televisione racconti storie di famiglie separate, adottive, omosessuali, omogenitoriali - lo considero, di solito, un'insufflata d'intelligenza, un modo di penetrare il cuore sociale d'Italia. Questo, di solito.
La narrazione delle minoranze possiede sempre un suo epos. E lo dico da minoranza: laico, non coniugato con prole, con l'idiosincrasia del matrimonio. Però, visionando "Di fatto, famiglie" (Real Time, domenica prima serata) mi è sorta una sgradevole sensazione. Che non attiene alla confezione tecnica di questo docureality su coppie gay con figli. Per carità. Il suddetto programma è girato con paraculismo invincibile. Scorre lieve sulla storia di Simone e Roberto che, insieme da dieci anni e diventati papà grazie a due ragazze canadesi in maternità surrogata hanno dato loro le gemelle Viola, Melissa e Sofia battezzate in contemporanea mentre il prete sbagliava la benedizione "alle mamme" (colonna sonora di Hozier). E, lo stesso format monta alla perfezione le vicende delle lesbiche Roberta e Chiara con le figlie e le vicine di casa tenerissime (colonna sonora di Mengoni). E sviluppa in stile "Sconosciuti" la vicenda di Arianna e Chiara - sorrisi, mano nella mano, di nuovo sorrisi - incinte a Barcellona, col padre di Arianna entusiasta del lieto evento (colonna sonora di Malika Ayane, però su testi del maschilissimo Nicola Di Bari, che non approverebbe...). Non è la dimensione tecnica, dunque, che spiazza, di quest'idea autoriale. No.
È quella ideologica: è come se qualcuno volesse importi, in modo insinuante, il suo punto di vista. Mandato in onda contro il Family Day, "Di fatto, famiglie" trascura del tutto l'elemento "unioni civili" che doveva essere il giusto fulcro della legge Cirinnà; e si concentra sulle adozioni gay, allargando il tema a quello che, effettivamente, temevano i vescovi, l'Ncd e i militanti cattolici. Va bene che la tv va oltre ma questa è un'offensiva totale. Mtv8, per l'occasione ha prodotto la Maratona Family Gay. Mentre Raiuno aveva appena chiuso, con successo, la sua fiction "È arrivata la felicità", in cui, appunto, due simpatiche ragazze omosex partorivano, mentre il padre di una di loro, Ninetto Davoli, spiccava pazzo di gioia rispetto alla madre bacchettona, e con l'appeal livido d'un agente delle tasse.
E, ancora qualche mese prima della Cirinnà, era stato "Affari di famiglia", il colossale flop di Raitre, a rappresentare due gay "ex militanti cattolici", assai benestanti con tate e appartamenti in centro. I quali gay, avendo figliato, volevano passare direttamente al riconoscimento di uno status genitoriale che richiederebbe perlomeno un altro sinodo, o una revisione della laica Costituzione. Ma temo che i procedimenti di revisione costituzionale non siano la mission dell'infotainment; come non lo sono, d'altronde, le concioni ipercattoliche dei cardinal Bagnasco o Giovanardi di turno vestiti da templari. In tutto ciò, paradossalmente, a rimetterci, alla fine, sono le famiglie di fatto, etero e non sposate. La verità, spesso, è il reverbero del dubbio. E, eticamente, scusate, io non ho bisogno della tv militante che mi spieghi dove sto sbagliando. Ci riesco benissimo da solo...