Sylvester Stallone il Golden Globe lo ha meritato. Il suo Rocky Balboa in "Creed – Nato per combattere", lo spin off della saga dello "stallone italiano", nelle sale dal 14 gennaio, è la sua miglior interpretazione. Una grande interpretazione.Tgcom24 vi offre una clip esclusiva del film, quella in cui il figlio illegittimo di Apollo Creed, Adonis Johnson, (Michael B. Jordan) scopre della malattia dello "zio" Rocky.
Stavolta sotto la felpa grigio melange impegnato in una corsa, che non è più sulla scalinata dell'Art Museum di Philadelphia, ma in una strada in salita, non c'è più Rocky Balboa. Quella felpa la indossa Adonis Johnson, il figlio illegittimo di Apollo Creed, con un passato in riformatorio e il peso di un cognome ingombrante sulle spalle. La voglia di fare il pugile senza sfruttare il nome del padre che non ha mai conosciuto, né gli agi della vita che la vedova di Apollo, interpretata da Phylicia Rashad, gli ha dato adottandolo. Adonis, che si fa chiamare Donnie, lascia tutto, cambia città e va dritto da Balboa per chiedergli di allenarlo.
Inizia così una nuova vita per entrambi, nel segno della boxe, che il giovane vuole diventi il suo futuro, mentre per Rocky, rimasto solo, è un passato ormai lontano. Il pugilato resta il mezzo per raccontare battaglie più grandi, quella dell'affermazione per Adonis, quella per la vita per Rocky, che scopre di avere il cancro e sulle prime decide di non curarsi. Sarà il giovane a convincerlo, in un patto fra uomini in cui ognuno combatterà il suo match, ma aiutandosi a vicenda. Sono una famiglia, che soffre e sa anche ridere. Sono un padre e un figlio che condividono un pezzo di strada, in cui si inserisce anche la giovane Bianca (Tessa Thompson), la cantante di cui Donnie si innamora.
L'epica del ring dei primi Rocky resta nel match che vede l'esordiente Johnson contro il campione del mondo in carica. Un match impari organizzato in nome del business stimolato dal cognome Creed - che il ragazzo accetta di adottare pur di combattere - e che diventa una lotta per la sopravvivenza. Con riferimenti alla leggendaria "rumble in the jungle" tra Alì e Foreman, fino alla eco mediatica de "l'incontro del secolo" tra Pacquaio e Mayweather.
Il finale aperto prelude a nuovi episodi della nascente saga e non a caso a Hollywood già si lavora a "Creed 2", per il quale si ipotizza l'uscita a fine 2017. Alla regia non dovrebbe più esserci Ryan Coogler, che la Marvel ha voluto per il suo "Black Panther".
Intanto al regista e co-sceneggiatore di "Creed - Nato per combattere" va dato merito di aver saputo costruire un buon film. E non era facile. Il rischio era di ripetere i flop degli ultimi capitoli della saga di Rocky Balboa e scimmiottare i fasti di un tempo. Invece Coogler è riuscito a creare una pellicola con una propria identità, equilibrata, in cui i riferimenti ai primi film - numerosi, ma inseriti coi tempi giusti - si mixano con la nuova storia e la cesura tra passato e presente è sottolineata molte volte durante la narrazione, dal linguaggio agli skyline di Philadelphia, dai cellulari che fanno spesso capolino alle musiche. Un rimando continuo che che va di pari passo con i fantasmi e le vicende di Adonis e Rocky, ognuno impegnato a modo suo a combattere l'eterna sfida verso il nemico peggiore: se stesso.
Con cura nei movimenti di macchina e nelle riprese in dettaglio, il giovane Coogler (ha 29 anni) ha costruito un buon film anche dal punto di vista tecnico. La critica ha apprezzato e pure il pubblico: il film ha incassato nel mondo già oltre 120 milioni di dollari. Hollywood si è accorta anche della performance di Stallone, che ritirando commosso il suo primo Golden Globe ha ringraziato "l'amico immaginario Rocky", al quale ha dato un volto ancora più umano.