Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana un padre e un figlio si recavano al cinema, a vedere l'ultimo capitolo di una serie di fantascienza che, fin dalla sua uscita, era stata capace di sovvertire e riscrivere tutte le regole del genere se non del cinema stesso. Era il 1983 e, dopo la proiezione, negli occhi di quel bambino restava la traccia indelebile di una magia: quella di aver visto qualcosa di unico e incredibilmente emozionante. Una storia di armi e di cavalieri ma non con armature e cavalli, bensì con spade laser e astronavi. Una storia d'amore e di morte, di fedeltà e di tradimenti, di gioia e di dolore. Nella sua testa sarebbe restata la memoria di quel momento, l'idea che il cinema potesse regalare mondi distanti ma verosimili e storie così affascinanti da volerci credere a tutti i costi.
Ieri, in una città vicina vicina, un padre e una figlia si sono recati al cinema, a vedere l'ultimo capitolo di una serie di fantascienza mitica che, a un certo punto, ha subito qualche contraccolpo. Negli occhi di quella bambina, dopo la proiezione, oltre una stanchezza incredibile per le due ore e un quarto di film affrontate con coraggio e una sola, ma potente, pausa pipì, l'entusiasmo per quello che ha visto e, in gran parte, capito. Ma, a parte una incontenibile voglia di raccontare i dettagli più segreti del film a chiunque le capiti a tiro, anche una consapevolezza critica che nasce dall'essere già amante della prima trilogia (episodi IV, V e VI per intenderci) e avere una pietra di paragone che il bambino del 1983 non aveva. E, alla domanda "quale dei due ti è piaciuto di più, "Una nuova speranza" o "Il risveglio della Forza" rispondere senza esitazioni: "Il primo".
Certo, un bambino di sei anni non è il critico cinematografico perfetto, ma è di sicuro un barometro molto importante per un'operazione, quella di riportare in vita e completare il mastodontico progetto di George Lucas, che inevitabilmente deve confrontarsi innanzi tutto con se stessa. Perché Guerre Stellari: il risveglio della Forza non ha un vero avversario se non il suo passato, la sua storia, i milioni di fan più o meno sfegatati e soprattutto il suo canone. E su quest'ultimo punto, possiamo tutti stare tranquilli: J.J. Abrams ha realizzato un film che è un atto d'amore. Non solo è rispettosissimo delle ambientazioni, dei costumi, addirittura delle movenze dei personaggi e ricoperto di quella deliziosa e inevitabile patina anni Settanta che l'originale si porterà sempre dietro, ma addirittura anche nella costruzione della storia siamo di fronte a qualcosa di mai visto prima, con talmente tanti omaggi da scivolare presto nel déjà vu più sfrenato e trasformare in gran parte il film in una sorta di reboot dell'originale con vecchi e nuovi personaggi. "Siamo a casa, Chuwbie" dice Han Solo. Ed è proprio la sensazione che lo spettatore ha per quasi tutta la durata: sentirsi a proprio agio con quello che sta vedendo, sentirsi pure lui "a casa" in quella galassia lontana lontana che ha imparato a conoscere e a un certo punto non riconosceva più.
D'altronde, si capisce, l'intento era proprio questo: ricostruire l'universo di Guerre Stellari, riportarlo pienamente in vita facendo "dimenticare" l'ultima trilogia e tutte le polemiche che l'hanno circondata. Ma riportarlo in vita in una veste che fosse da una parte totalmente nuova, aggiornata alle tecnologie di oggi, capace di catturare i nativi digitali e una generazione che le Guerre Stellari le ha sentite raccontare solo dal padre, ma dall'altra non tradire, di nuovo, un pubblico enorme che ha fatto di Star Wars, letteralmente, una religione. Una sfida ambiziosa e in qualche modo folle che solo un folle visionario pragmatico come J.J. Abrams poteva affrontare e, diciamolo chiaramente, vincere. Perché se alla fine, nonostante il film risponda in modo piuttosto compiuto a molte domande, un altro milione e mezzo restano aperte, creando una voglia incontenibile di trovare un modo per andare avanti nel tempo e trovarsi già a maggio del 2017 quando uscirà il capitolo VIII.
Insomma, al netto di alcune lievi cadute di stile e semplificazioni estreme nella trama (ma siamo sicuri che l'originale non fosse altrettanto "naif"?) operazione riuscita. Rinunciando, però, a qualche tratto distintivo del suo modo di fare cinema e televisione. Perché da colui che ha cambiato le regole dei serial tv con Alias e Lost e riscritto completamente la storia di Star Trek, forse ci si aspettava qualcosa di più dirompente, originale, sconvolgente. Invece, con un rispetto quasi sacrale della materia che viene maneggiata, come se in certi momenti stesse disinnescando un ordigno piuttosto che creando qualcosa, ha realizzato un film davvero accessibile a tutti, vecchi e nuovi fan, capace di intrattenere (che poi è la cosa più importante), divertire, emozionare e anche far salire qualche lacrimuccia, mischiando vecchio e nuovo in un calderone dal quale, probabilmente, ha estratto una pozione magica: quella dell'eterna giovinezza di una saga che ha ancora molto, molto da offrire a tre se non quattro generazioni di padawan. E se alla fine come a quella bambina vi sarà piaciuto, magari di poco, di più Episodio IV (o V o VI), non fatevene una colpa e non fatela a J.J. Abrams: è solo una mera questione di cuore. Perché il primo amore, in fondo, non si scorda mai.