In Italia il mercato immobiliare non sempre è stato osservato con le dovute attenzioni per quanto rappresenti un termometro affidabile dello stato di salute di un'economia. L'approccio è cambiato non appena negli Stati Uniti è scoppiata la crisi, tra il 2007 e il 2009 (per poi contagiare anche l'Europa), proprio a causa delle insolvenze dei mutui subprime, una tipologia di finanziamenti concessa dagli istituti di credito per l'acquisto di beni immobili a garanzie personali limitate. Quanto successo a partire da quel periodo è storia recente, ad ogni modo il mercato immobiliare – nel suo complesso – coinvolge diversi attori e diverse sfere di un sistema economico e una sua risalita dopo una prolungata fase di crolli vertiginosi non è notizia da far passare in secondo piano.
Il contesto economico e il ruolo della BCE
La crisi del mattone nel nostro Paese dura da circa dieci anni, ma con l'aggravarsi della situazione le cose sono poi peggiorate. Dal 2014 si è cominciato a riscontrare un lieve miglioramento per via di alcune specifiche misure adottate e mutate condizioni economiche, quali la riduzione dei prezzi delle abitazioni (proseguita sulla scia del periodo precedente), la diminuzione dei tassi di interesse e un più facile accesso al credito dopo anni di stretta per famiglie e imprese (credit crunch), pratiche inoltre favorite dalle recenti politiche monetarie della Banca centrale europea (BCE). Anche il Quantitative Easing – il massiccio programma di acquisto di titoli di Stato – ha contribuito a rilanciare il mercato immobiliare, favorendo la concessione di mutui necessari all'acquisto di un immobile e sostenendo così la domanda interna.
Il mercato dei mutui in Italia
Il mercato dei mutui in Italia ha seguito, grosso modo, il trend del mercato immobiliare. Perciò dopo una lunga fase di crollo – dovuta anche alle regole rigide, di tipo prudenziale, previste dagli accordi di Basilea che di fatto hanno impedito alla banche di concedere mutui in assenza di determinate garanzie da parte dei richiedenti – ora si nota un'inversione di tendenza. Tassi bassi e condizione economiche in miglioramento hanno permesso al mercato dei mutui di tornare in crescita, che l'ABI (l'Associazione bancaria italiana) quantifica in un'impennata del 94,3% nei primi dieci mesi del 2015 rispetto al medesimo periodo del 2014. A sostenere tale risalita è stato anche il ricorso al “Fondo di garanzia per la prima casa” – uno strumento adottato dopo l'intesa tra ABI e Ministero dell'Economia per agevolare l'acquisto, in particolare delle giovani coppie, della casa principale e per l'efficientamento energetico –, per cui tra febbraio e ottobre 2015 sono ammontati a 304 milioni di euro i nuovi mutui garantiti mentre altri 34,5 milioni sono in fase di erogazione (per un totale di 338,5 milioni di euro). Questo non vuol dire, ovviamente, che non restino le difficoltà. Per l'Istat le famiglie in difficoltà con il pagamento delle spese per la casa sono circa tre milioni, l'11,7% del totale (anno di riferimento il 2014). Di queste il 10,2% delle famiglie lamenta ritardi con i pagamenti delle bollette per le utenze domestiche e il 6,3% di quelle con il mutuo da pagare si è trovato in arretrato con la rata. La recente ricerca di Tecnè per Tgcom24 ha evidenziato che l'81% delle famiglie vivono in un'abitazione di proprietà (a conferma di quanto sia importante il mattone per gli italiani) e l'11% sta pagando un mutuo o un finanziamento sull'abitazione (con il 4% delle famiglie che sta pensando di estinguerlo o rinegoziarlo).
Tasso fisso o tasso variabile?
Negli ultimi sei mesi il finanziamento concesso a chi vuole comprare un immobile è stato in media di 123 mila euro, l'8% in più rispetto al 2014. A spingere le richieste di famiglie e imprese hanno concorso sicuramente i tassi d'interesse che negli ultimi 12 mesi si sono abbassati, e di tanto. Dunque la domanda è: meglio farsi applicare un tasso fisso o un tasso variabile? Diverse indagini mostrano come gli italiani siano attratti soprattutto dal tasso fisso, vediamo perché. Il tasso variabile, di norma, è legato ad una scadenza mensile e permette di ottenere prestiti a prezzi molto convenienti. Ma questa convenienza è garantita nel breve periodo quando a lungo termine ci si espone al rischio di eventuali rialzi del costo del denaro che farebbero, a quel punto, aumentare la rata del mutuo. Il tasso fisso, al contrario, viene deciso a scadenza annuale e dà la certezza che in futuro non si verifichino improvvise sorprese o variazioni sulla rata.
I consigli per un'attenta soluzione
È frequente l'errore di valutare il tasso d'interesse quale unico fattore che determinerà la scelta di una proposta anziché un'altra, di un istituto invece di un altro. È opportuno, invece, che i clienti prendano in considerazione tutte le variabili che andranno a determinare l'impegno di 15, 20, in molti casi 25 anni nei confronti di una banca. Quindi è importante comprendere tutte le caratteristiche, i costi (ad esempio i costi di istruttoria, i costi di perizia, i costi di tenuta annua e quelli di conto corrente) e i servizi che la banca è in grado di offrire (i tassi fissi, come visto, sono preferiti di gran lunga a quelli variabili, ma non è da escludere che i secondi siano più vantaggiosi se viene stipulata una rata costante che protrarrà le variazioni del tasso nel tempo, evitando che la quota da restituire lieviti). In poche parole fermarsi al vantaggio immediato può rivelarsi nel lungo periodo una strategia miope, molto più in una fase di tassi d'interesse così bassi. Il rischio che si corre è quello di scegliere una banca sulla base di un risparmio apparente, che non si andrà a verificare per via di costi indiretti accumulati e non osservati in precedenza.