"Sìììì", "bravoo", "bene bene bene molto beneeee". Niente da fare, anche con le parole più semplici del mondo, il commentatore televisivo Giovanni Trapattoni riesce ad essere Giovanni Trapattoni, anzi, riesce nell'impresa di farlo ancora diventare più personaggio, più marchio di fabbrica. Neofita entusiasta a 76 anni suonati: è qualcosa che dice tutto di uno degli uomini icona del nostro sport, non solo del pallone. E l'inedita esperienza da seconda voce in telecronaca è solo l'ultimo capitolo non scritto di un'esistenza strapiena che invece, finalmente, è stata riassunta in un volume, come da tanto tempo il popolone calcistico attendeva. "Non dire gatto", eccolo qui, nel titolo, uno dei trademark trapattoniani. Convincerlo, questo è stato il problema. Poteva riuscirci solo Bruno Longhi, il giornalista amico di una vita: "Non è stato facile, da tempo gliene parlavo. La sua risposta è sempre stata 'è presto, è presto', anche a 90 anni avrebbe detto che era presto per un libro "finale" sulla sua carriera. Si è deciso dopo avere rinunciato a diverse panchine che ancora gli propongono da più parti, oggi si accontenta della gratificazione. E allora, finalmente, abbiamo cominciato: ed è nato un lavoro lungo 70 anni, perché il racconto comincia dalla sua tenera infanzia, dalla guerra, dalla cascina della periferia milanese in cui è cresciuto".
E da lì in giù, o perlomeno dal debutto con la maglia del Milan, hai voglia. "La mia vita in campo tra calci e fischi", recita la copertina, e si tace con modestia tipica del personaggio una terza parola: successi, sotto forma di scudetti, Coppe, coppette. Almanacchi del calcio alla mano, Giovanni Trapattoni mediano prima e allenatore poi, è il signore più vincente del nostro football: facile (eufemismo) vincere tutto, meno è fare il bis e il tris di tutto, Coppe Campioni, Intercontinentali, scudetti non ne parliamo perché 10 in 4 paesi diversi (più 2 da giocatore) vengono quasi a noia. Per questo, scorrendo pagine di vittoria, si incontra a un certo punto un buco nero, anzi, azzurro. "Continua a venire a galla il suo vero disappunto, che è quello sulla Nazionale - conferma Longhi -. È incazzato perché noi ci dimentichiamo, ricordiamo l'episodio di Corea-Italia 2002, Byron Moreno, lì si capì tutto dei maneggi della Fifa: ma in quel mondiale gli annullarono cinque gol buoni, no uno, cinque, ci sarebbe stato un altro percorso. Io avrò sbagliato qualcosa, dice, se non vinci qualcosa avrai sbagliato, però uno pensa a anche a un disegno, logiche esterne: là è successo questo, in Portogallo all'Europeo 2004 con 5 punti siamo usciti a causa del biscotto tra Svezia e Danimarca con Johansson presidente dell'Uefa. Gli brucia perché l'allenatore della Nazionale è l'allenatore di un intero Paese".
E se non l'ha rappresentato il Trap, questo Paese reale del pallone. Dietro le quinte delle mille storie di calcio, la Storia di un Italiano versione calcio, senza le ombre e i doppi fondi che così bene ha raccontato Alberto Sordi al cinema: "Sì, vero - ancora Longhi - in Trap c'è quel tipo di italiano che si è fatto da solo, lungo la strada. Lui sa dove è cresciuto, la sua estrazione, sa che ha studiato pochissimo e ha cercato di farsi una sua cultura attraverso il pallone. É arrivato dove non avrebbe mai immaginato di arrivare, diventato un personaggio mondiale attraverso il calcio. Di questo è perfettamente consapevole e ciò gli fa uscire la sua dote più netta, perfino esagerata, che è la modestia. Se senti lui, gli è sempre andata bene: annulla Pelé, e dice che era infortunato, poi che si è trovato al posto giusto al momento giusto, coi passaggi a livello alzati, e poi tira in ballo Boniperti. Pare che tutto gli sia capitato per fortuna, se stai a sentirlo, i meriti se li riduce al minimo".
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La lunga storia del Trap scorre via veloce tra gli anni, i capitoli, gli aneddoti che danno i tocchi necessari alla definizione di un personaggio unico. E a proposito di questo, del titolo del libro, di Strunz e di tanti altri capisaldi della filologia trapattoniana, non si può richiudere il volume senza farsi (rifarsi?) la domanda definitiva: ma ci è o ci fa? A Bruno Longhi la sentenza, per nulla ardua: "Lui sa che alle volte la gente si aspetta determinate cose e può giocarci un poco. Ma io posso garantire che anche a casa, in privato, tra noi, magari sta parlando e viene fuori con queste cose tipo quella del gatto e del sacco. È assolutamente spontaneo in questo, fa parte di una cultura sua che nasce dalla famiglia, dalla cascina dove è cresciuto. Strunz? Caricò consapevolmente quella conferenza, ma per arrivare ai tedeschi, non agli italiani. Poi è arrivata da noi ha avuto tutto un altro effetto. Insomma, ci è. Lui è così, altri, invece, ci fanno sul serio"
Giovanni Trapattoni
Con Bruno Longhi
"Non dire gatto"
Pgg. 297, euro 18,00
Rizzoli editore