Passavano la vita a scavare, alla ricerca di qualche frammento di giada tra i detriti della vicina miniera, sperando di risollevare le loro condizioni di vita: almeno cento di questi disperati "cercatori" sono morti, nel nord della Birmania, quando una frana in piena notte ha travolto il loro accampamento accanto alla grande miniera a cielo aperto della pietra preziosa alla quale avevano legato il loro destino.
La tragedia - il bilancio provvisorio parla di 100 morti e altrettanti dispersi - rappresenta il più grave incidente del genere nello stato settentrionale di Kachin, il cui sottosuolo è stato esplorato in modo selvaggio negli ultimi anni - con precarie condizioni di sicurezza - per alimentare un fiorente business di esportazione in particolare verso la Cina, fonte di enormi guadagni per pochi.
Lo smottamento è avvenuto poco dopo le 3 del mattino, per cause ancora da chiarire. Un enorme cumulo di detriti, prodotto degli scavi e depositato in posizione evidentemente pericolosa, ha improvvisamente ceduto rovesciandosi a valle. Per le centinaia di minatori "improvvisati" che dormivano attorno allo stabilimento vicino alla città di Hpakant (950 km a nord dell'ex capitale Rangoon), non c'è stato niente da fare. I soccorritori, ostacolati dal maltempo, hanno recuperato finora 99 corpi: uno solo era in vita quando è stato estratto dalle macerie, ma è morto poco dopo. Secondo le autorità locali, ci sono altre decine di dispersi.
L'incidente è avvenuto in una zona impervia e off-limits agli stranieri. Nello stato Kachin, dove è tuttora in corso una guerra separatista contro l'esercito birmano, il mercato della giada è in pieno boom grazie all'inesauribile domanda dalla confinante Cina. Le tante miniere nel Kachin, da dove si estrae giada tra la più pregiata al mondo, attirano cercatori di fortuna da tutto il Paese, che rovistano tra i detriti all'esterno delle miniere nella speranza di mettere le mani su un pezzo di pietra preziosa, che possa alleviare le condizioni di povertà in cui vivono. Spesso, queste ricerche clandestine avvengono al buio, su montagne ridotte a un paesaggio lunare a causa degli scavi massicci e senza alcun rispetto per l'ambiente.
Il business della giada è uno dei simboli delle estreme disuguaglianze tra la massa della popolazione birmana e una piccola cricca di militari e affaristi legati all'esercito, che per decenni hanno venduto di contrabbando le ricchezze naturali della Birmania dirottando i proventi verso i loro conti correnti personali. Incidenti ai lavoratori delle miniere accadono spesso, con vittime che neanche vengono riportate.
Secondo un rapporto dell'organizzazione non governativa Global Witness, pubblicato in ottobre, il commercio di giada nel 2014 ammonterebbe a 31 miliardi di dollari, una somma dieci volte più grande di quella ufficiale, e che equivarrebbe a metà del Pil nazionale: il gruppo l'ha definita "forse la più grande rapina di risorse naturali della storia moderna". Tale ricchezza non raggiunge però la popolazione, ed è anzi causa di una devastazione sociale; nella zona delle miniere di Hpakant, gran parte della popolazione e dei minatori è dipendente dall'eroina e dalle metanfetamine, disponibili a prezzi irrisori.