Un passaporto siriano accanto al kamikaze che si è fatto esplodere nella lunga notte del terrore a Parigi, all'interno del teatro Bataclan, riapre in Europa la questione sui rifugiati e della libera circolazione nel Vecchio continente. I documenti siriani, in attesa della notizia che confermi l'appartenenza del passaporto al terrorista, ne è forse il simbolo più eloquente. Il proprietario era sbarcato tra i rifugiati entrati in Europa dalla Grecia, sull'isola di Lero, dopo aver attraversato quel tratto del Mare Egeo diventato un cimitero, come ha riferito il vice ministro dell'Interno greco Nikolaos Toskas.
L'intestatario del passaporto era stato registrato dalle autorità elleniche il 3 ottobre. E secondo le autorità elleniche, anche un altro dei terroristi coinvolti nell'attacco a Parigi potrebbe "molto probabilmente" essere entrato in Europa attraverso la frontiera greca.
E il trattato sulla libera circolazione delle persone in Europa scricchiola sempre più. Diversi sono già i Paesi Ue dell'area Schengen che, con l'arrivo dei rifugiati, hanno reintrodotto i controlli alle frontiere, le hanno chiuse o sono sul punto di farlo: Austria, Germania, Ungheria, Svezia, Slovenia, Danimarca, e ora la Francia e, parzialmente, il Belgio. E controlli rafforzati ai confini, aeroporti e stazioni, dopo la notte da incubo di Parigi seguita da riunioni d'emergenza nazionali in tutti i principali Paesi Ue, sono stati decisi anche da Italia, Spagna, Gran Bretagna.
Come un effetto domino, tutti sembrano chiudersi su stessi, anche se è arrivata una dichiarazione politica congiunta in formato straordinario dei leader dei 28 e dell'Ue per dimostrare unità: "Si tratta di un attacco contro tutti noi. Faremo fronte a questa minaccia insieme".
Una dimostrazione d'intenti, spiegano a Bruxelles, fortemente voluta dal presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker per evitare un'ulteriore implosione. E a cui al G20 in Turchia, dove non può non andare perché Paese chiave per rifugiati e sicurezza, sarà lasciato l'arduo compito, insieme al collega Donald Tusk, di dare una direzione al "post 13 novembre".